In questi anni il cambiamento nell’organizzazione del lavoro delle imprese, ha innescato un nuovo fenomeno sociale ed economico: il precariato.
Il precariato può essere oramai definito un dramma per la nostra società, perché ha interrotto numerosi diritti e tutele di tanti lavoratori, tramutandosi in uno dei mali del nostro tempo.
La precarietà del lavoro si è tradotta in una precarietà di vita per le nuove generazioni cui sono stati negati i diritti fondamentali: progettare il proprio futuro, farsi una famiglia, avere una vita economica per andare avanti e la possibilità di poter costruire una pensione per una vecchiaia serena.
Non possiamo fare a meno di chiederci il perché di tutto questo.
Quali sono le cause del precariato? Quale futuro ci attende?
Le cause maggiori sono da attribuirsi alla crisi del modello di produzione di tipo fordista e all’avvento della globalizzazione dei mercati che hanno determinato l’introduzione di nuove tipologie contrattuali dette”flessibili” permettendo alle aziende di rendere dinamico il turn over dei lavoratori.
E’ pur vero che la “flessibilità” del lavoro ha contribuito all’aumento del tasso di occupazione che ha interessato il nostro Paese negli ultimi anni prima della crisi, ma è altrettanto vero che, nella maggioranza dei casi, non si è tradotta in occupazione stabile.
La crescita dell’occupazione sostenuta dall’introduzione di sempre nuove forme d’impiego non ha contribuito a una reale crescita economica del Paese e non ha migliorato le condizioni del nostro mercato del lavoro, lasciando del tutto irrisolte le differenze tra Nord e Sud e il divario tra occupazione maschile e femminile.
Accanto al modello di lavoro a tempo pieno e indeterminato, si sono affiancate forme di lavoro caratterizzate da impieghi di carattere temporaneo e atipico, alterando i tradizionali equilibri contrattuali e, con essi, anche le tutele dei lavoratori che diventano sempre più deboli. Nel tempo si è venuto a creare un mercato del lavoro a doppio binario, più comunemente definito “sistema duale” in cui convivono lavoratori con tutele e lavoratori privi o con scarsissime tutele.
Da una parte, quindi, soggetti impiegati attraverso forme di lavoro “standard” (a tempo indeterminato), che hanno sufficienti tutele, anche grazie a un sistema di ammortizzatori sociali che li sostiene nella fase di uscita dal mercato del lavoro e, dall’altra, una sempre più folta schiera di lavoratori atipici (“deboli”), per lo più giovani e con contratti temporanei, caratterizzati invece da un basso livello di tutele, spesso insufficienti, e in molti casi strumenti di sostegno al reddito del tutto inesistenti ( collaborazioni a progetto, stage, contratti in compartecipazione, lavoro accessorio, contratti a tempo determinato ecc).
Queste classificazioni tuttavia non sono così nette, perché accanto a queste tipologie di lavoratori, si aggiungono ulteriori categorie, con la conseguenza di trovarci di fronte ad un mercato del lavoro estremamente frammentato, in cui autonomia, subordinazione e sfruttamento spesso si sposano a forme di lavoro instabili e discontinue.
Esiste, poi, chi di tutele non ne ha alcuna, sia perché lavora in nero, sia per il suo status di clandestinità.
Una particolare attenzione va prestata alle fasce dei lavoratori più deboli, che sono i più colpiti dall’attuale sistema economico come le donne, i giovani che si affacciano per la prima volta nel mondo del lavoro, di coloro che ne sono usciti e che hanno difficoltà a rientrarvi anche a causa dell’età (gli over 50).
Il risultato è di andare incontro a numerose forme di povertà che potranno essere causa soprattutto tra le giovani generazioni di nuovi conflitti e malesseri sociali.
Come possiamo correre ai ripari ed evitare che questa situazione possa degenerare?
Sicuramente occorrono, forme di tutela nuove e originali che si adeguino ai cambiamenti in atto e che tengano conto che saranno sempre meno coloro che lavoreranno per tutta la vita nello stesso posto di lavoro e che la maggioranza dei lavoratori cambierà sempre più spesso impresa se non addirittura mestiere. Saranno sempre più necessarie misure diversificate e allo stesso tempo universali, fortemente ancorate alla tradizione di solidarietà e uguaglianza in grado di coniugare le “tutele dei diritti dei lavoratori con lo sviluppo e la crescita”.
E’ indispensabile stabilire quali siano le forme di flessibilità realmente necessarie ed efficaci al fine di garantire, nello stesso tempo, una “buona occupazione” unita ad adeguati sistemi di sicurezza sociale con cui superare il costante ricorso ai contratti atipici.
In tal senso, sarebbe auspicabile un impegno da parte dei governi e dei sindacati, non più prorogabile, nel predisporre accordi e proposte legislative innovative che regolino, attraverso una nuova tipologia contrattuale, le distorsioni del mercato del lavoro italiano, impedendo che attraverso l’uso delle attuali forme di rapporto di lavoro, si continui a perpetrare un peggioramento delle condizioni di lavoro evitando, in tal modo, che le esigenze di flessibilità e mobilità del sistema produttivo si scarichino, come avviene oggi, solo su una parte del mondo del lavoro, in altre parole sui lavoratori e sulle fasce più deboli.
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