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Se ai giovani manca la cultura del lavoro non è certo colpa loro

In un sistema che non cresce, la cultura del lavoro si perde. E dare la colpa ai giovani è fin troppo facile.

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Da molti anni si sente spesso parlare in tv e sui giornali di giovani che non hanno voglia di lavorare. Decine di imprenditori lamentano di non trovare personale perché chi dovrebbe appunto lavorare non ha più voglia di farlo, non vuole sacrificarsi insomma. Dal 2018 in poi, cioè da quando è entrato in vigore, la tiritera è stata quella del “preferiscono il Reddito di cittadinanza”, ma la storia dei giovani che si basano sui sussidi al lavoro c’era anche prima, al Sud più che da altre parti, ma certamente non solo lì. Ma è davvero così? E se lo è, quali sono le ragioni?

Una narrazione parziale

Va prima di tutto precisato che il fatto che i giovani non abbiano voglia di lavorare è tecnicamente falso, o perlomeno non è sempre vero. A parte il fatto che da sempre esiste una parte di forza lavoro che se potesse il suo mestiere eviterebbe accuratamente di farlo, giovani o meno che siano, bisogna dire che le lamentele ad esempio delle imprese del turismo possono essere sì vere, ma non lo sono sempre. E’ reale il fatto che ci siano meno persone, soprattutto tra i più giovani, con l’intenzione d’impegnarsi stagionalmente in lavori che richiedono di sacrificare l’intera estate (e quindi le vacanze), ma è anche vero che la percentuale di chi vuole lavorare dipende direttamente dal guadagno previsto.

Negli anni sono uscite decine di inchieste che hanno certificato come un buon numero di posti di lavoro (non certo solo nel turismo), fossero per lavoratori in nero, o sottopagati, con poche o zero tutele e con orari assurdi. Beh, è effettivamente vero che le nuove generazioni stentano a sottostare a queste condizioni. Ma come non dar loro ragione? Si obietterà che per alcuni posti irregolari ce ne sono altre migliaia che invece sono regolarissimi, dove però i giovani non vanno lo stesso, spesso nemmeno avendo una certa esperienza alle spalle e che, quindi, il problema non sono i posti di lavoro irregolari, ma proprio il fatto che la voglia di lavorare se ne sia, per così dire, andata. Beh, se se n’è andata, ed è tutto da dimostrare, ci sono comunque delle buone ragioni.

Il problema della mancanza di fiducia

Sono notizie di questi giorni, per citarne solo un paio, la messa in amministrazione giudiziaria di un paio di grosse aziende di logistica, a causa, secondo i giudici, dello sfruttamento dei lavoratori, sottopagati e con orari fuori regola e la scoperta di migliaia di operai in nero in un cantiere navale. A prescindere dal fatto che sono casi che andranno comunque verificati, resta difficile negare che il mondo del lavoro nei decenni si sia letteralmente inselvatichito. Non è ormai solo complicato trovare e tenersi un posto di lavoro, è complicata addirittura la ricerca. In un numero di casi che non può essere noto, ma che indubbiamente esiste, gli stessi annunci di lavoro sono, tecnicamente falsi, creati ad arte per ottenere curriculum e rimpinguare le banche dati delle agenzie del lavoro, come ben spiega una delle molte storie contenute in “Lavoro di merito”, il libro di Marco Fattizzo. A volte sono fittizi pure gli stessi colloqui di lavoro.

E’ ovvio che in un panorama del genere, a farla da padrona diventa la mancanza di fiducia, che a sua volta genera apatia. Si dirà, “Sì ma è sbagliato!”. Certo che è sbagliato, bisogna sempre lottare per una vita migliore, ma per farlo è almeno necessario rendersi conto del problema, per poi provare a risolverlo. Un mondo del lavoro troppo selvaggio genera sfiducia, incertezza, dubbi, indolenza e, appunto, mancanza di voglia. Ma come si fa a dare la colpa ai giovani di un certo atteggiamento verso il lavoro dovendo essi muoversi in un mercato di questo tipo?

Gli stipendi sono troppo bassi da troppi anni

Torniamo ad uno dei punti di partenza. Non è vero che tutti i posti sono irregolari, ma i giovani non vanno nemmeno in quelli regolari. Tutto giusto, ma il problema è che anche superando la grande barriera della mancanza di fiducia, quando pure si trova un posto di lavoro decente, costruirsi una vita abbastanza dignitosa è comunque un’impresa. In un’azienda dove tutto è a norma di legge, se non si ha un posto di responsabilità (e a volte nemmeno quello è abbastanza), lo stipendio risulta non raramente troppo basso per potersi permettere una famiglia, un mutuo per una casa, un’auto. Spesso bisogna scegliere appunto: la casa o la famiglia? Le vacanze o la macchina? E così, non riuscendo a mantenere lo stesso tenore di vita dei genitori (che spesso aiutano ancora i figli anche quando sono già grandi), le nuove generazioni optano per altre strade, meno sicure, se di sicurezza si può parlare, ma più innovative, più creative, a volte purtroppo seguendo illusioni che non potranno mai realizzarsi.

Non tutti ovviamente hanno la fortuna e la stoffa di poter lavorare come influencer o content creator, ma è questa effettivamente una via intrapresa da molti, sulla scorta di alcuni personaggi famosi che hanno fatto una vera e propria fortuna in quel modo. Insomma, giustamente cercano di divertirsi più delle generazioni precedenti, forse vittime di una disillusione che non ci dovrebbe essere e vivendo più alla giornata che nel tentativo di costruirsi un futuro. Non è ovviamente sempre così, tantissimi giovani che definiremmo istituzionalmente “con la testa sulle spalle” fanno lavori comuni e portano a casa il loro più o meno dignitoso stipendio e con quello magari ci mantengono faticosamente una famiglia appena creata con mille speranze, ma è innegabile che le tendenze non siano più solo quelle di dieci o vent’anni fa, quando tutti cercavano sempre ed inderogabilmente il posto fisso.

La cultura del lavoro ha bisogno di un sistema che cresce

Tutto questo ha creato una sfiducia endemica nel sistema e nei confronti dello stesso mercato, cosa che ha influito anche sulla cultura del lavoro. Le nuove generazioni non hanno più il mito del posto fisso, per loro è tutto un po’ più improvvisato, incerto, indefinito rispetto ai predecessori e non certo per colpa loro. Crescendo in un sistema del genere, è chiaro che anche la cultura del lavoro, di cui fa parte quello spirito di sacrificio che comunque dovrebbe sempre esserci, un po’ viene persa. Chi glielo fa fare ad un ventenne di sacrificare le vacanze estive per guadagnare quando va bene poco più di mille euro per un paio di mesi, magari dovendosi pure pagare le spese di alloggio? Con quei soldi non potrà comunque costruirsi un bel niente. E perché andare al lavoro tutti i giorni per poi non poter lo stesso realizzare le proprie aspettative basilari? E’ importante capire che il terribile disincanto che sta dietro a questa situazione va eliminato in ogni modo. Tutti, ma soprattutto i giovani, hanno bisogno di sperare in un mondo migliore, non di vivere in una sorta di metaverso lavorativo che abbassa continuamente l’asticella.

Per convincere un giovane a sacrificare le vacanze estive ad esempio, è necessaria prima di tutta una buona retribuzione, ma soprattutto serve che quell’esperienza sia utile, che possa imparare qualcosa che l’anno dopo gli frutterà di più. Non pagare l’esperienza delle persone è un concetto stupido e controproducente. E’ inutile cercare di convincere qualcuno a fare la gavetta quando, una volta fatta, lo stipendio è comunque uguale (ammesso che si trovi ancora un lavoro) e troppo basso e discontinuo per poter fare progetti. A quel punto la gavetta tanto vale non farla. Proprio per questa ragione il sistema dovrebbe continuamente crescere e garantire posti di lavoro stabili, che vengano protetti non solo da leggi, ma anche dalle stesse persone che danno lavoro, le quali dovrebbero essere le prime a volere chi ha già esperienza, magari chi ha già lavorato lì l’anno prima, accettando però il compromesso di pagarlo di più e offrirgli condizioni migliori.

Negli anni, e sono veramente tanti quelli da prendere in considerazione, è stato il continuo gioco al ribasso ad intaccare la cultura del lavoro nei più giovani di turno. Pensare che la gente si sacrifichi sempre di più per ottenere sempre di meno è tecnicamente un’idiozia bella e buona. Nessuno fa questo e chi lo fa è perché è costretto dalle contingenze. Al contrario chi non ha urgenza di lavorare, e ovviamente i giovani spesso non ce l’hanno, è chiaro che cercherà altre strade, se non più redditizie, almeno più dignitose e meno faticose.

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