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Tutte le opportunità della sharing economy

Sharing economy: dalla casa alla macchina alla bicicletta. La condivisione dei beni è la strada del futuro.

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Durante i periodi di crisi si assiste alla nascita di nuove opportunità e ad un ritorno verso azioni e pratiche già conosciute ma passate in secondo piano con il sopraggiungere della modernità. La recessione economica che ha colpito una larga fetta di popolazione dei paesi occidentali negli ultimi anni è stata terreno fertile per sviluppare fonti alternative di reddito e nuovi mestieri. In questo contesto la sharing economy è un fenomeno che ha conosciuto una grande espansione. A testimoniarlo ci sono la miriade di piattaforme online attraverso le quali si incontrano domanda e offerta di beni e servizi e attorno alle quali si sono radunate folte community. E infatti è stato proprio il web ad agevolare la crescita e lo svilupparsi dei fenomeni collaborativi.

Sharing economy:  il ruolo fondamentale di Internet

Grazie ai social media e alla diffusione dei nuovi strumenti digitali, è oggi possibile trovare in rete utenti interessati a condividere un oggetto con un’altra persona per consentirle di usarlo e realizzare così uno specifico bisogno, senza la necessità di acquistarlo. Il tratto peculiare di queste pratiche è infatti proprio lo spostamento dell’attenzione dalla proprietà dei beni verso l’accesso all’utilizzo degli stessi. In questo modo ognuno può sfruttare le proprie idling capacities, ovvero le risorse sottoutilizzate. Oggi sono numerose le piazze virtuali nelle quali è possibile condividere di tutto, dalla casa al passaggio in auto, dai vestiti che non indossiamo più ai libri. Si può ormai affermare che la sharing economy ha superato la fase “beta”.

Esempi virtuosi (e redditizi) di sharing economy

Delle potenzialità della condivisione si sono accorte anche le grandi aziende, che ne hanno fatto business redditizi. L’esempio celebre è quello di Airbnb, simbolo per eccellenza della sharing economy. Questa piattaforma consente agli utenti di affittare una stanza o la casa intera ad altri privati per brevi soggiorni, a scopi turistici e non. Ma non solo: Blablacar ha innovato il modo di viaggiare in auto da quando sul suo sito è possibile offrire passaggi in auto e condividere così i costi del viaggio. Altro esempio è quello della società Uber, che con il servizio UberPop permette agli utenti di offrirsi come conducenti dietro richiesta di chi ne abbia bisogno.

L’exploit del car sharing in alcune città europee, come Milano, ha attirato numerose società che intendono investire ulteriormente ed implementare i servizi già in atto. Tutte queste realtà rappresentano il volto mainstream della sharing economy e come tali sono sottoposte a una grande attenzione mediatica negli ultimi tempi, anche a causa delle critiche ricevute da parte di alcuni attori istituzionali e delle associazioni di particolari categorie di lavoratori, come i tassisti o gli albergatori. Molto spesso i servizi offerti tramite queste aziende sfuggono a rigide classificazioni normative e fiscali e perciò sono sotto osservazione anche da parte della pubblica amministrazione, considerata l’urgente necessità di regolamentare i fenomeni dello “sharing”.

La sharing economy solidale

Ma se da una parte vi sono queste società e business al seguito, dall’altra l’economia collaborativa è anche qualcos’altro. La sharing economy infatti favorisce la socializzazione attraverso la riscoperta di costumi ed usanze, che il mondo globalizzato ha contribuito a disperdere e dimenticare. Questo tipo di collaborazione e di condivisione necessita di una dimensione locale per essere sostenibile: lo scambio fisico di beni o di servizi può essere attuato esclusivamente tra persone prossime geograficamente. Anche se diverse aziende, floride sul fronte dello “sharing”, come quelle sopra citate, hanno una dimensione internazionale, i servizi scambiati sulla loro piattaforma rimangono comunque ancorati a una portata locale. E attraverso questa valorizzazione del concetto di comunità appartenente a un determinato territorio che sono nati esperimenti lodevoli, come l’idea della social street. Questa iniziativa incentiva la socializzazione e la conoscenza tra vicini di casa, al fine di condividere necessità, confrontarsi, aiutarsi e lavorare insieme su progetti di utilità sociale.

Dalla prima in via Fondazza a Bologna, le social street si sono diffuse in tutta Italia, a testimonianza del fatto che, nonostante ormai una larga fetta di popolazione abiti in grandi agglomerati urbani, la voglia e l’attitudine a instaurare legami con le persone vicine resiste al fenomeno della globalizzazione e dell’urbanizzazione selvaggia. Insomma la sharing economy non può essere definita solo come il volto del consumismo ai tempi della crisi, ma come un diverso approccio alle necessità e ai beni, che forse, a ben vedere, può essere letto in chiave più altruistica.

 

Gloria Lattanzi

 

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