Quanti sono gli stranieri residenti in Europa? E cosa fanno per sopravvivere? A queste e altre domande ha cercato di fornire una risposta il quinto Rapporto annuale “I migranti nel mercato del lavoro in Italia”, un corposo documento compilato dalla Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche d’Integrazione che ha passato ai raggi X tutte le stime dei cosiddetti “regolari”.
Ovvero di quei cittadini – comunitari ed extracomunitari – che vivono e lavorano accanto ai nativi, contribuendo a produrre la ricchezza dei Paesi che li ospitano.
Con 7 milioni di stranieri residenti nel suo territorio, la Germania è (contrariamente a quanto si possa pensare) il Paese europeo più accogliente, almeno in termini numerici. A seguire il Regno Unito, con 5 milioni di stranieri; l’Italia, con 4,9 milioni; la Spagna, con 4,7 milioni e la Francia, che ne ospita 4,2 milioni. A “spopolare”, in Italia, sono soprattutto gli albanesi e i marocchini, che vantano rispettivamente una presenza di 450.908 e 408.667 unità. Mentre molto meno numerose risultano essere le altre comunità: i cinesi stabilitisi in Italia sono poco più di 197 mila, gli ucraini sono 180.121 mentre i filippini non arrivano alle 129.190 unità.
Ma la ricognizione diffusa nei giorni scorsi ha voluto accendere un faro soprattutto sulla condizione dello straniero-lavoratore. E ha svelato l’unicità dell’Italia dove – a differenza degli altri grandi Paesi europei di accoglienza – il tasso di occupazione dei cittadini stranieri risulta costantemente superiore a quello dei nativi. Cosa vuol dire concretamente? Che tra il 2013 e il 2014, il numero degli stranieri occupati in Italia è aumentato di 111 mila unità, mentre quello degli occupati italiani è sceso di 23 mila unità. Ma non si pensi che per gli stranieri siano tutte rose e fiori. Anzi: lo studio ha certificato che, tra il 2010 e il 2014, il tasso di occupazione degli stranieri comunitari residenti in Italia è calato del 5,5% e quello degli extracomunitari è sceso del 4,1%. E non sono certo mancati i disoccupati: nel 2014 se ne sono contati 465.700 (11 mila in più rispetto all’anno precedente), con un’incidenza sul totale pari al 16,9%.
E se vi state chiedendo quali sono i settori in cui i lavoratori stranieri si sono “specializzati”, sappiate che si tratta del Commercio e dell’Agricoltura. Nel commercio, in particolare, l’occupazione straniera (extracomunitaria) è aumentata, tra il 2013 e il 2014, del 9%, a fronte di un calo del 2,4% dell’occupazione italiana. Mentre in comparti come quello delle Costruzioni, le cose vanno male per tutti: la quota di occupati extraeuropei è crollata del 19,6%, quella degli occupati comunitari del 2,4% e quella degli italiani del 2,6%.
Ancora: il 76,8% dei lavoratori stranieri che vivono stabilmente nel Bel Paese svolge un lavoro dipendente con qualifica di operaio, l’8% ha una mansione impiegatizia mentre solo lo 0,9% ha raggiunto un livello dirigenziale. Di conseguenza circa il 40% del totale porta a casa, a fine mese, un salario che non supera gli 800 euro e il 39,8% trova in busta paga 1.200 euro. Ed esattamente come i loro coetanei italiani, anche quelli stranieri faticano a trovare un impiego: il tasso di occupazione tra gli under 30 è, infatti, passato dal 56,4% del 2010 al 45,5% del 2014 (-10,9% in 4 anni).
Infine: non tutte le comunità sembrano approcciarsi allo stesso modo al mondo del lavoro. O per lo meno, le stime rilevano grandi differenze. Se, per dire, l’80,1% dei filippini che vivono in Italia ha un lavoro, il tasso di disoccupazione tra i marocchini supera, invece, il 27%. Tra i più laboriosi, i peruviani (il cui tasso di occupazione si attesta al 68,2%), i cinesi e i moldavi (67,8%) e gli ucraini (67,7%). Mentre il tasso di disoccupazione è particolarmente alto, oltre che nella comunità marocchina, anche in quella tunisina (24,3%), albanese (22,7%) e pakistana (20%). Per non parlare delle donne la cui quota di inattività raggiunge, in alcuni casi, livelli elevatissimi. Delle pakistane residenti in Italia, solo il 10% lavora e delle bengalesi, il 20%. Tassi di inattività molto alti anche tra le donne egiziane (74%), indiane (71%), marocchine (66%) e tunisine (61%).
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