Combattere contro il tecnostress? Cos’è, da cosa deriva? L’utilizzo massivo della tecnologia sul lavoro ha vantaggi e svantaggi.
Si chiama anche “tecnostress” ed è un argomento di cui si parla continuamente. Si tratta di fatto di una condizione per la quale i lavoratori, oberati dalla tecnologia necessaria allo svolgere le proprie mansioni, cadono in uno stato di ansia le cui conseguenze principali sono l’irritabilità e l’emicrania.
Legato soprattutto alle tecnologie informatiche, il tecnostress può addirittura generare il rifiuto del lavoratore ad utilizzare le stesse, in quanto giudicate un ostacolo, se non insormontabile comunque troppo complicato da superare per poter “banalmente” svolgere il proprio lavoro. E c’è effettivamente da pensarci su, in quanto la larga diffusione della tecnologia sul lavoro non è avvenuta certo per creare problemi, ma al contrario per risolverli e facilitare i compiti di ognuno.
Allora, viene da chiedersi come e perché, ormai da molti anni, si crei talvolta, psicologicamente parlando ma a dire il vero non solo, una situazione di fatto contraria agli scopi originali per i quali l’utilizzo massivo della tecnologia sul lavoro è stato prima pensato, poi previsto e realizzato. La questione non si limita all’aspetto psicologico per un motivo molto semplice, che è quasi superfluo spiegare: se un lavoratore non è contento, è irascibile, ha mal di testa o sintomi paragonabili, sicuramente non potrà rendere come dovrebbe, e probabilmente come vorrebbe; quest’ultimo aspetto non è di poco conto perché di fatto avviene che l’impegno profuso da chi è “tecnostressato” viene in buona parte sprecato appunto a combattere contro la tecnologia, che diventa una nemica, al posto di essere un’alleata.
Insomma, un impegno maggiore per risultati minori rispetto non solo (o meglio, non sempre) a quanto richiesto dall’azienda, ma anche e soprattutto a quelli richiesti a se stessi. Il voler raggiungere un obiettivo in un determinato tempo ed il non riuscirci a causa del dover lottare contro un qualcosa che invece dovrebbe aiutare, “duplica”, per così dire, lo stress generato dalla mera lotta per imparare ad utilizzare correttamente la tecnologia messa a disposizione. Ed è più che ovvio che un dipendente stressato, stanco e arrabbiato per ragioni che considera addirittura almeno parzialmente esterne alle sue mansioni, lavorerà male e sarà inoltre più soggetto ad esempio a malattie stagionali, perché fisicamente più vulnerabile.
Come combattere il tecnostress?
La parola d’ordine è “formazione” e la responsabilità è quindi in gran parte dell’azienda; quest’ultima infatti, se vuole che i pacchetti tecnologici acquistati rendano, deve provvedere alla formazione completa dei suoi dipendenti, che devono uscire dai corsi di formazione perfettamente in grado di padroneggiare i dispositivi ed i programmi informatici che vengono loro messi in mano dal datore di lavoro. Certo, è ovvio che a questi corsi non si possa partecipare “per sport” come purtroppo ogni tanto avviene. Non sono gite fuori porta dall’ufficio, ma anzi sono momenti in cui occorre una particolare concentrazione ed attenzione in quanto da quelle ore formative dipenderà in gran parte il benessere futuro sul luogo di lavoro.
C’è però anche un’altra questione molto importante da considerare: il fatto che il lavoro e quindi gli strumenti per svolgerlo diventino, sia l’uno che gli altri, sempre più specifici, talvolta obbliga chi è chiamato ad utilizzare tali strumenti a possedere conoscenze che travalicano grandemente la specializzazione acquisita. Per fare un esempio immediatamente comprensibile: un esperto commerciale tale è e tale rimane, non è, non vorrà e non sarà mai un tecnico informatico. E se è costretto a diventarlo, necessariamente in modo molto parziale, ciò potrebbe creargli un certo stress, ovvero un certo tecnostress. E’ pur vero, ed è stata per certi versi anche una fortuna, che il lavoro è divenuto negli anni sempre più trasversale, ma un limite in ogni caso ci vuole.
Chi lavora, o si forma in un modo, o si forma in un altro. Il fatto di acquisire competenze che spaziano in vari campi è ormai imprescindibile, ma chi utilizza un programma gestionale non potrà comunque mai arrivare a conoscerlo come chi lo ha creato o lo deve far funzionare correttamente. E non glielo si può chiedere, nemmeno in modo parziale, in quanto questa parzialità è proprio quella che crea il tecnostress al lavoratore che è chiamato a dover affrontare problemi che invece dovrebbero essere presi in carico da personale esclusivamente tecnico.
Ovviamente esistono vari livelli di condizioni in cui può verificarsi il fenomeno dello stress legato alla tecnologia sul lavoro e quello appena descritto è probabilmente il più profondo e contestualmente quello con la minore probabilità che si verifichi. Ritornando a piani un po’ meno specifici, è necessario comprendere, molto più semplicemente, come anche un software troppo complicato, macchinoso, “lungo” da utilizzare sia o possa essere fonte continua di tecnostress. Una condizione questa che, tra l’altro, può arrivare ad influire negativamente anche sulla vita privata, le sue conseguenze infatti entrano spesso nei comportamenti quotidiani al di fuori del luogo di lavoro.
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