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Trovare lavoro: il punto di non ritorno non esiste

Non esiste un punto di non ritorno nel trovare lavoro. Anche se tutti i tentativi vanno male, è meglio comunque continuare a provarci.

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La frase, ormai avvolta da una specie di leggenda, “trovare lavoro è diventato un lavoro”, ha qualcosa di vero, perlomeno a volte. Tra chi è alla ricerca di un impiego, ci sono quelli che lo trovano subito e restano immediatamente soddisfatti e quelli che faticano immensamente a trovarne uno. Questi ultimi, quando riescono nell’impresa, vanno solitamente incontro a due destini alternativi: il primo è quello per il quale anche loro rimangono soddisfatti, il secondo invece è molto più complesso. Magari il lavoro è brutto, pagato male, temporaneo, in un ambiente malsano. In alcuni casi è più cose insieme, o anche tutte, nel peggiore dei casi. Situazioni simili possono portare ad abbattersi ed a pensare che siccome tutto è contro i propri sogni e le proprie speranze, abbandonare la lotta sia sostanzialmente la cosa migliore da fare per non soffrire più. E’ certamente una soluzione, ma siamo sicuri che sia quella giusta? No, non lo siamo. Bisogna invece certamente iniziare a pensare che nel trovare lavoro il punto di non ritorno non esiste

Nel trovare lavoro il punto di non ritorno non esiste

O meglio, sì che esiste, ma dipende dal nostro comportamento. Lasciarsi andare a quel che si crede essere il proprio destino infausto è esattamente quel punto di non ritorno. Combattere contro quello stesso destino invece, quel punto lo distrugge, continuamente. Ma come fare? Ci sono certamente azioni da intraprendere, ma la prima cosa in assoluto riguarda la propria forza psicologica e la capacità di comprendere che se si sta male in un posto si può sempre cercarne un altro migliore. Il discorso vale in primis per chi un lavoro non ce l’ha e lo sta cercando, ma anche se un posto lo si ha già ci sono diverse osservazioni da fare. La prima è che chi non rischia difficilmente potrà migliorare la propria condizione. Per rischiare, bisogna essere ben consci di ciò che si fa. Tentare qualcosa non significa farlo completamente al buio. Anche il rischio va ben ponderato, valutato con il maggior numero di informazioni possibili, ragionato. Solo dopo aver fatto tutto questo si può pensare di intraprendere un cambiamento migliorativo della propria condizione. Chiarito questo, va anche specificato che non sempre è il caso di rischiare. A volte le percezioni sono così soggettive che riescono a farci pensare di essere in una situazione negativa quando in realtà non lo siamo. Ma come fare a capirlo, direte voi. Certamente l’impresa è ardua ma per aiutarci, facciamo un paio di esempi pratici.

Primo esempio: siamo riusciti dopo diversi mesi di estenuanti ricerche a trovare un lavoro, ma l’ambiente è quello che è e la paga è bassa. Però è un lavoro sicuro, domanda: cambiare o no? E quali domande farsi per capirlo? Come in qualsiasi cosa che riguardi i vari ambienti in cui ci muoviamo all’interno della nostra vita, bisogna prima di tutto identificare bene di cosa stiamo parlando. Se il lavoro è sicuro, su questo non c’è nulla di cui discutere, è semplicemente un punto positivo che resta lì, immodificabile. E questa è una base di partenza. Però: “l’ambiente è quello che è”. Ok, ma che significa davvero? Ci stiamo muovendo veramente in un contesto poco affrontabile? O magari siamo noi che vediamo le cose in un modo non del tutto corrispondente alla realtà, ad esempio: A) poca soddisfazione personale B) Antipatie personali C) Aspettative differenti dalla realtà. Attenzione, anche questi parametri contano nell’eventuale scelta di muoversi, ma il punto del discorso è capire se questi parametri sono veramente oggettivi o sono piuttosto pareri personali che distorcono la reale percezione dell’ambiente. Per farlo bisogna capire sostanzialmente se tali parametri sono reali o se siamo noi che, nei fatti, pretendiamo troppo. Quindi le domande da farci in questi casi sono: mi stanno davvero trattando male, o sono io che mi sento in quel modo perché mi aspettavo troppo rispetto al lavoro che realmente è? Sto subendo delle ingiustizie, o le sento tali solo perché non ottengo quello che voglio? Ed è davvero giusto quello che voglio? Quelli che mi stanno antipatici lo sono davvero, o sto sbagliando qualcosa anche io? Mi pagano troppo poco per quello che faccio, o sono semplicemente io che vorrei di più, anche immotivatamente? Lo stile di vita che tengo è adatto alle mie entrate o sto spendendo più di quello che dovrei e quindi percepisco il mio stipendio come troppo basso?

Molte domande, alle quali siamo tenuti a rispondere nella maniera più oggettiva possibile per fare un piacere a noi stessi, chiariscono se sia il caso di muoversi o meno, o comunque di tentare di farlo. Bisogna infatti tenere presente che “scappare” da un lavoro sicuro può essere un vantaggio ma anche no. Potremmo infatti trovare un lavoro con una paga più alta e/o con un ambiente migliore (o che perlomeno percepiamo tale), ma meno sicuro. Guadagnare di più ma per un tempo limitato, in un contesto di lavoro dipendente, non è certo un’ottima idea, visto che poi ci si ritroverebbe a dover necessariamente cercare un altro impiego con tutte le incognite di cui sopra e anche molte altre. Nella realtà dobbiamo quindi imparare a farci le domande giuste ed a darci delle risposte che non siano traviate dalle nostre opinioni. Spesso è utile anche confrontarsi con altre persone, però esistono dei dati da cui non prescindere. Se si fa un lavoro normale, si ha uno stipendio nella media ed il lavoro è più o meno sicuro, cambiare posto è un rischio non indifferente e in via generale è meglio farlo solo per un posto altrettanto sicuro con una paga più alta. Ma sono informazioni molto complesse da scoprire, quindi o si ha in mano qualcosa di certo o, più ancora se si ha una famiglia sulle spalle, le valutazioni da fare sono veramente molto profonde. Questo non significa non rischiare mai, significa però non rischiare a caso, sulla base di meri pensieri personali che possono essere anche molto distanti dalla realtà. Avviso: detta così sembra abbastanza semplice da fare come cosa, in realtà è tra le più complicate che si possano affrontare, visto che riguarda il proprio futuro. Quindi se non ci si riesce subito, o anche si sbaglia, non è certamente il caso di abbattersi arrivando a quel punto di non ritorno di cui abbiamo parlato prima. Ovvero? Si può anche fare una scelta sbagliata, ogni volta che si sceglie si può fare un errore. Ok, una volta fatta questa però, si può ricominciare e valutare se sia il caso di farne un’altra che migliori il nostro stato di cose. E’ proprio per questo che quel punto di non ritorno non esiste, perché il muoversi o meno dipende da noi, anche se va detto che non sempre le cose si riescono a migliorare. Non va sempre bene insomma, ma non provarci nemmeno è il modo migliore per non riuscirci mai.

Secondo esempio: l’ambiente di lavoro è buono, la paga anche, ma il lavoro non è sicuro. Questo vuol dire che si può anche avere un contratto a tempo indeterminato, ma che la natura del lavoro non è poi così stabile e vi sono rischi che salti da un momento all’altro, assieme al contratto. Cosa fare? Qui i parametri da prendere in considerazione non sono molti, visto che il problema è solo uno, pur rilevante. Le domande che dobbiamo farci sono però più o meno quelle di prima: se cambio troverò qualcosa di più stabile e con retribuzione almeno simile? Se la risposta è no, non è poi così tanto il caso di provare a cambiare. Se la risposta è “non lo so” si prospetta la scelta più complicata: vado o non vado? Il lavoro da fare in questo caso è cercare di prendere il maggior numero possibile di informazioni sull’azienda in cui si è più o meno intenzionati ad andare, ma certamente ci sarà un momento in cui bisognerà prendere una decisione che andrà un po’ anche a fortuna e ciò va semplicemente accettato. Quel che invece non va assolutamente fatto è decidere di non cambiare solamente per la paura del cambiamento stesso, perché è proprio questo che può essere percepito come una sorta di punto di non ritorno. Il “Sto qui anche se va sempre peggio perché magari migliora”, se preso come unica opzione, è sicuramente deleterio, sia dal punto di vista materiale che da quello psicologico. Invece il “Sto qui anche se va sempre peggio perché magari migliora, ma intanto mi guardo in giro e valuto” è già un atteggiamento molto più costruttivo e quindi più aperto a diverse possibilità.

Di esempi come questi ce ne possono essere in buon numero, anche partendo da situazioni migliori o peggiori di quelle descritte, ma il discorso sul punto di non ritorno rimane lo stesso: bisogna prima di tutto cercare di essere il più possibile ottimisti, avere chiaro che modificare un contesto che si ritiene sbagliato, pesante, inadatto, si può e tante volte si deve. Poi bisogna sapersi fare gli interrogativi giusti e cercare di rispondere in maniera distaccata da quelli che sono i propri interessi personali immediati, ma valutare quali siano questi ultimi nel medio e lungo periodo. Ottenere qualcosa subito per poi perderci di più dopo non ha alcun senso. Fatti questi passaggi tecnici, bisogna convincersi che non è mai “la fine” se non si vuole che lo sia. Anche se tutti i tentativi andassero male da qui all’eternità, solo il non farli neanche presuppone quella fine, il punto di non ritorno, che quindi esiste solo se noi vogliamo che esista. Il segreto insomma non è tanto il provarci, ma più che altro il pensare di farlo ed il sapere di poterlo fare. Poi, a volte non conviene, ma anche riuscire a chiarirsi che non conviene è un indubbio vantaggio.

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