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Valorizzare ed incentivare il lavoratore in azienda

Quanto è importante per una azienda valorizzare i propri dipendenti? E come si può fare?

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E’ facile comprendere come uno stipendio inferiore alla media o comunque inadeguato alle reali capacità, disincentiva il lavoratore più di ogni altro motivo. Invece non è sempre vero, che un aumento di stipendio rappresenti uno stimolo ad accrescere l’impegno e la volontà di far meglio il proprio lavoro.

Alcuni studi hanno dimostrato che un adeguamento in termini retributivi è percepito dal dipendente, in media, per i successivi due mesi, nei quali le sue forze effettivamente si moltiplicano nella direzione del raggiungimento di risultati migliori, ma poi, passato questo periodo iniziale, il soggetto torna su livelli di resa sostanzialmente simili a quelli precedenti. Possiamo affermare senza dubbi e con assoluta certezza che le motivazioni che possono migliorare il rendimento delle prestazioni lavorative siano da ricercare in altri aspetti.

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L’attaccamento all’azienda e al proprio lavoro cioè la “fedeltà” intesa nel senso di lunga permanenza presso la stessa società era in passato un elemento molto più premiante e incentivante a lavorare meglio di quanto lo sia oggi. Lo stesso vale per il trattamento di fine rapporto, anch’esso in passato rappresentava la conclusione finale di una storia personale che offriva in termini economici un riconoscimento ambito da molti lavoratori. Sappiamo che oggi la realtà dei nostri giorni è completamente differente. L’imprenditore intenzionato a ricercare soluzioni che possano stimolare l’ottimizzazione delle prestazioni dovrà prestare attenzione ad altre motivazioni concernenti il soddisfacimento delle esigenze del lavoratore poiché “persona”.

E’ stato dimostrato da dottrine lavoristiche degli anni ottanta , come il lavoratore abbia una resa maggiore, soprattutto dal punto di vista qualitativo, se sta bene in azienda, se gli è data la possibilità di esprimersi in un ambiente il cui clima sia favorevole e possa soddisfare le sue esigenze di qualità della vita, dal punto di vista dei rapporti con le persone e dell’adattabilità ai mezzi strutturali. Ma oggi purtroppo la figura del “dipendente” è molto cambiata rispetto al passato. Il lavoratore, infatti, è sempre meno “dipendente” e sempre più soggetto di quello che realizza.

Il periodo taylorista-fordista, caratterizzato dal lavoro in catena di montaggio, in cui il lavoro era caratterizzato dalla ripetersi e dalla suddivisione dei compiti ha lasciato il posto a una realtà in cui, nell’organizzazione aziendale, a tutti è richiesto di essere dei tecnici. Lo stesso operaio che lavora alle macchine, dovrà essere in grado anche di utilizzare strumenti computerizzati sempre più sofisticati e adatti ad essere maneggiati soltanto da chi abbia una preparazione specifica; l’impiegato, il dirigente, sono portati, sempre di più, a cercare soddisfazione personale e professionale muovendosi da un’azienda ad un’altra in modo da accrescere e diversificare le proprie competenze.

Oggi sono in molti a pensare che il lavoratore tanto più si sentirà appagato dalla vita in azienda, tanto maggiormente troverà in essa un ambiente adatto per potersi realizzare. Se il datore di lavoro saprà fornire le condizioni più idonee a questo scopo ne farà probabilmente una persona potenzialmente orientata verso le migliori prestazioni. In passato era presentata come una virtù quella di chi si sapeva accontentare della propria condizione, mentre ai nostri giorni si nota come invece ci sia una forte volontà di migliorare la propria condizione personale e sociale.

Si sta verificando un recupero degli aspetti “individuali” della persona, nella considerazione che la loro valorizzazione conduce all’utilizzo delle migliori capacità specifiche di ognuno, con il risultato di una soddisfazione generale. Se da una parte certi traguardi sociali, si raggiungono soltanto unendo le forze e potenziando il collettivo, dall’altra tendono a essere valorizzate le attitudini e le conoscenze personali, così da avere risposte utili sempre più diversificate ed originali. In questo senso l’azienda potrà trarre dei benefici dall’apporto di ciascun dipendente , soprattutto in relazione a quanto più a ciascun soggetto sarà data la possibilità di esprimersi.

A parte ciò il personale rappresenta per un‘azienda una “spesa” da sostenere. Sarà dunque compito dell’imprenditore impiegare il dipendente secondo i criteri più remunerativi procurandogli al tempo stesso il massimo di soddisfazione dal proprio lavoro. Occorrerà quindi sviluppare un ambiente, un clima, una cultura d’interesse e valorizzazione dell’apprendimento continuo e della crescita delle competenze che possa indirizzare sistematicamente le persone verso il proprio sviluppo professionale.

Oggi è possibile scegliere una strategia specifica di know-ledge management che abbia lo stile inconfondibile del rispetto della persona che apprende e della valorizzazione delle competenze individuali e collettive. Da molte ricerche emerge il dato di quelle culture del lavoro, che assegnano alle competenze individuali la funzione dell’opportunità. Secondo questa cultura il lavoro rappresenta la possibilità di costruire un progetto personale e professionale, da soli e insieme con gli altri.

Se la passione per il proprio lavoro era un tempo appannaggio di alcune professioni utili al soggetto sotto il profilo della gratificazione personale, è necessario oggi che queste attribuzioni vengano a far parte di ogni attività lavorativa. Per la realizzazione di queste basi rimane fondamentale la funzione del mezzo formativo che è sempre fra i più validi a stimolare il verificarsi delle condizioni cui si tende. All’interno di una azienda è necessario che il lavoratore sia sempre meno “lavoratore dipendente” e sempre più “collaboratore”. Il dipendente, in altre parole, è destinato a diventare sempre più un professionista.

Purtroppo varie azioni si oppongono ancora a questa tendenza, infatti, abbiamo una parte la tendenza da parte dei soggetti a voler essere gli unici a determinare le scelte e i destini della propria azienda, concepita come qualcosa su cui si ha un “diritto di proprietà” assoluto , dall’altra la riluttanza ad avvicinarsi alle posizioni proprie della guida aziendale, per il timore di esserne assorbiti.

Detto ciò appare evidente come alle organizzazioni sindacali di parte imprenditoriale e di parte lavorativa che hanno voce a livello nazionale sia demandato un delicato compito a cui spetta un ruolo di forte impulso e di educazione nel presente e nel prossimo futuro.

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