Chi cerca lavoro sa esattamente quanto sia incessante quel pensiero, suo malgrado. “Chiedo solo una possibilità” è ciò che viene in mente a chiunque sia alla ricerca di un impiego, soprattutto se vittima della cosiddetta disoccupazione di lunga durata, ovvero quell’impiego lo sta cercando da molto tempo. E’ un pensiero che viene automaticamente, ogni volta che si consultano le offerte di lavoro e se ne vede una che potrebbe andar bene, che si spedisce un curriculum, che si fa una telefonata e, ad un secondo livello, che si affronta un colloquio. In pochissimi però tengono presente un problema di sicuro non trascurabile: se si è così fortunati dall’essere messi di fronte a quella famosa possibilità, non è detto che si sia pronti per giocarsela al meglio. E, attenzione perché qui sta il punto fondamentale di tutto il discorso, non è certo detto che questo sia una colpa.
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Ci si gioca tutto quando si è fuori allenamento
Se non si lavora da mesi o addirittura da anni, una volta ri-catapultati nel mondo produttivo è tutt’altro che facile capire cosa fare e come farlo. Rispondere bene alle domande di un selezionatore al colloquio può essere un incubo. Certo, andarci completamente impreparati è un suicidio bello e buono, consultare i siti di settore come il nostro per ottenere suggerimenti e consigli utili è sicuramente una cosa da fare sempre, ma una volta giunti davanti a chi potrebbe assumervi, la storia, per quanto ci si sia “allenati” a casa, cambia. Entra infatti in gioco la tensione, l’emozione, e parallelamente la “disabitudine” a gestire quelle situazioni mentali, dovuta essenzialmente all’assenza forzata e chiaramente involontaria da un qualsiasi posto di lavoro, dove, di riffa o di raffa, capita periodicamente di andare a colloquio con un responsabile, fare una riunione, gestire una situazione complicata o di emergenza e così via.
Giocarsi tutto (ovvero il posto di lavoro, quindi uno stipendio, un futuro) quando non si è più della partita da tempo rende il gioco in questione mille volte più duro ed entra quindi in campo un fattore per nulla controllabile: la fortuna, sulla quale si potrebbe fare un discorso pressoché infinito. Inoltre, la tensione di cui sopra non è paragonabile ad una normale tensione lavorativa, in quanto quel “pensiero incessante” l’ha amplificata per mesi o per anni, più o meno all’insaputa di chi la vive, che se ne accorge tutto ad un tratto nel momento clou. Insomma la famosa possibilità potrebbe non essere sufficiente. Ce ne vorrebbero almeno due o tre, per essere sicuri di avere una qualche colpa nel caso andasse male.
La ruota della fortuna? A volte è quadrata
“La ruota gira, vedrai, non darti per vinto”. Quante volte chi cerca lavoro si è sentito dire questa frase? Il problema è che ruota della fortuna, quella che dovrebbe girare a volte più che tonda sembra essere quadrata. Ne è un chiaro esempio la storia di un ragazzo appartenente alle categorie protette raccontata dal quotidiano online Urban Post; anche lui, come tanti, anzi tantissimi, chiede una possibilità, quella che gli permetterebbe di dimostrare il suo valore. Anche per lui la ruota della fortuna sembra essere quadrata. Cosa vuol dire? Che, al posto di “girare”, rimane immobile per un infinito periodo di tempo, ben piantata su un lato, poi, quasi come se qualcuno le desse un colpo ben assestato, improvvisamente si muove ed il lato cambia. E’ in quel momento che il “Chiedo solo una possibilità” si realizza nel concreto. Ed è in quel momento che è veramente complicato essere pronti, reattivi, coscienti di ciò che si deve fare.
E anche quando te la giochi bene…
Puoi rimanere fregato: “Sono un autista professionale, un camionista, cercavo lavoro da un bel po’. Mi chiama un’azienda di trasporti, faccio il colloquio, va tutto bene e ci mettiamo d’accordo per una prova sul campo. Due giorni dopo salgo sul camion con uno dei titolari, guida lui e intanto mi spiega il lavoro. Dopo 45 minuti buona ferma il mezzo in una specie di piccolo parcheggio che sta sulla corsi d’entrata di una strada a scorrimento veloce e mi fa cennno di guidare. Il mezzo è piuttosto vecchio ma tenuto molto bene. Sistemo la posizione, cintura, specchietti e via dicendo. Metto la freccia per uscire dal parcheggio faccio forse due metri, ancora dentro la piazzola e mi accorgo che un’auto arriva sparata, sicuramente non a velocità da codice per quel tratto di strada. Velocemente valuto che ci passo lo stesso, però decido di non farlo per prudenza e arresto il camion. A quel punto il titolare mi dice che è meglio che guidi lui e che mi farà riprovare da un’altra parte. In quel momento avevo capito di aver perso il posto, ma la mia decisione non era certo sbagliata. Avrei forse dovuto tagliare la strada ad un’altra auto rischiando un incidente?”
Prima abbiamo parlato di fortuna: questa lettera di un nostro lettore è oltremodo esplicativa. Viene da pensare che il titolare d’azienda, essendo anche lui autista ma stando dalla parte del passeggero non si sia accorto del “proiettile su quattro ruote” che stava giungendo e abbia preso la manovra del candidato come affetta da indecisione. Proteggendo il suo patrimonio (il mezzo) ha resettato la situazione, tagliando di fatto le gambe al candidato, che però, se è vero quel che ci ha riferito, ha fatto tecnicamente la scelta migliore, quella più giusta e più saggia. Ma come spiegarlo al titolare? Come dire a uno che dovrebbe assumerti e che fa il tuo stesso lavoro “guarda che tu quella macchina non l’hai vista?”.
Ecco, una possibilità può non bastare neanche ai migliori, come già detto ce ne vorrebbero almeno due o tre, anche in considerazione del fatto che non tutti sono “i migliori” e che non esserlo non è certo una colpa. Un mondo (del lavoro) più a misura di uomo e non di superuomo insomma, sarebbe fortemente auspicabile.
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