Il fenomeno dei Neet è maggiore in Italia rispetto ad altri paesi. Uno studio internazionale spiega come affrontare la questione.
Chi sono i Neet? Sono persone, perlopiù giovani che per qualche motivo, spesso legato ad una sorta di scoraggiamento verso il futuro, non studiano e non lavorano, sono quindi esclusi sia dal mercato del lavoro che dai percorsi di formazione. Sostanzialmente restano immobili in un mondo che continua ad andare avanti, anche piuttosto velocemente. Questo comportamento aumenta il distacco tra la possibilità di costruirsi un futuro ed il loro presente in essere. E’ un fenomeno per certi versi drammatico perché toglie risorse ai paesi e alla lunga può creare vere e proprie sacche di povertà. Uno studio internazionale effettuato da Gi Group Holding e Fondazione Gi Group e che si è avvalso di diversi esperti del settore, ha preso in considerazione un buon numero di paesi ed ha analizzato le cause del fenomeno Neet in Italia, cercando di dare una soluzione concreta.
La ricerca, che ha coinvolto Francia, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Spagna, Svezia e Regno Unito, ha messo in luce come in paesi con determinate caratteristiche legate ai percorsi di formazione, l’occupazione, soprattutto quella giovanile, è più alta che in Italia, ma soprattutto il fenomeno Neet è ridotto all’osso o quasi. Ma quali sono queste caratteristiche? A farla da padrona anche in Italia, secondo i risultati dello studio, dovrebbe essere il cosiddetto “modello Olanda”, un sistema che vede la gestione delle scuole in maniera molto decentrata. Di fatto sono le stesse scuole a prendere la maggior parte delle decisioni dal punto di vista dei programmi formativi, ciò permetterebbe cambiamenti molto più rapidi e mirati su percorsi professionalizzanti, vale a dire maggiormente legati al mondo del lavoro. Uno dei problemi principali infatti sembrerebbe essere un vero e proprio scollamento tra il mondo della formazione e quello del lavoro.
In parole povere la scuola, almeno in Italia, non sempre riuscirebbe a preparare in maniera adeguata all’inserimento lavorativo. Questo fenomeno, che viene chiamato “scollamento”, genererebbe disoccupazione giovanile e appunto un numero non trascurabile di Neet, persone che non partecipano a nessun corso di formazione, che non lavorano e che nemmeno cercano un lavoro. In quest’ultima caratteristica sta ad esempio la differenza con chi fa parte della platea dei disoccupati. Essi non lavorano, ma sono protagonisti di una ricerca attiva e spesso costante di un posto con il quale guadagnarsi da vivere, cosa che appunto i Neet non fanno.
La riduzione dello scollamento di cui sopra, secondo lo studio, deve passare anche dal maggiore impiego del cosiddetto “sistema duale”, ovvero percorsi appositamente studiati assieme alle aziende per garantire che non ci sia troppa distanza tra ciò che viene insegnato a scuola e ciò che poi servirà nel mondo del lavoro. Anzi, tale distanza dovrebbe ridursi sempre più quando non annullarsi, almeno nelle intenzioni. In questo senso, tali percorsi dovrebbero essere più tecnici e meno accademici, in quanto i primi risultano più utili in azienda, questo perché agiscono maggiormente nell’immediatezza.
In tale contesto la Germania e i Paesi Bassi sembrano essere quelli maggiormente performanti tra le nazioni prese in considerazione. Il loro sistema duale infatti garantisce un’occupazione giovanile vicina al 90%, contro poco più del 70% dell’Italia e un numero di Neet veramente molto basso: si tratta di una percentuale del 10% in Germania, addirittura del 4,6% nei Paesi Bassi, contro quella del 27,1% in Italia (nella fascia 18-24). E’ facile capire come se su 100 giovani in Olanda a non fare sostanzialmente niente sono meno di 5 e in Italia quasi 30, lo spreco di risorse dal punto di vista sia manuale che intellettuale è decisamente molto più alto e questo ha ovviamente anche un impatto differente sull’economia dei due paesi.
L’Italia però non è che non stia facendo nulla in tal senso. Recentemente è stata infatti approvata la Riforma degli istituti tecnici, la quale prevede un percorso quadriennale (e non quindi quinquennale), per poi poter accedere direttamente agli Its Academy biennali, cioè degli istituti professionalizzanti post- diploma. In questo caso il percorso formativo nella pratica aumenterebbe di un anno (passando da 5 a 6 con la formula 4+2) e lo scopo sarebbe appunto quello di legare maggiormente la formazione scolastica alle esigenze lavorative. Si potranno formare in tal senso devi veri e propri “campus”, cioè dei poli formativi in grado di riunire le maggiori competenze del territorio e con forti connessioni al mondo produttivo, in modo da preparare al meglio gli studenti per l’entrata nel mondo del lavoro anche attraverso la varietà dell’offerta dei percorsi, concentrata però in unico luogo di aggregazione.