Il 2015 è stato un anno ricco di novità per il mercato del lavoro italiano. Dal decreto Poletti dall’anno precedente alla legge di Stabilità, passando per alcune code del Jobs Act, il panorama normativo sul sistema occupazionale italiano ha subito radicali mutamenti, creando le basi per un cambiamento delle relazioni professionali, e non solo. Ma, anche alla luce di tutto ciò, come è andato davvero il mercato italiano nel 2015? E cosa ci si attende dal 2016 recentemente cominciato?
Un biennio di grandi novità
L’ultimo biennio ha apportato numerosi cambiamenti al mercato del lavoro, iniziati con il d.l. 34/2014 (il c.d. “decreto Poletti”) entrato in vigore lo scorso 21 marzo 2014 a modifica della precedente disciplina sui contratti a termine e di apprendistato: un primo step che ha incrementato la flessibilità in entrata nel mercato del lavoro, e che sarebbe poi stato completato, in alcuni suoi auspici, dal Jobs Act di qualche tempo dopo, con la legge delega sul mercato del lavoro che – tra gli altri elementi – ha modificato la normativa sulle nuove assunzioni introducendo il nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti, con disciplina meno rigida nei licenziamenti individuali e collettivi.
Lo scorso 1 gennaio 2015 è invece entrata in vigore la Legge di Stabilità, introducendo un esonero triennale dal pagamento dei contributi sociali (con la sola eccezione di quelli dovuti all’Inail e con un limite di 8060 euro annui) per le imprese che assumono con contratto a tempo indeterminato, e riconoscendo la deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile Irap.
Ricordato ciò, e cercando di rifuggire dalle facili influenze socio-politiche, si può cercare di rispondere alla domanda dell’anno: i provvedimenti normativi sono realmente serviti a migliorare il mercato del lavoro italiano?
Mercato del lavoro: cosa dice l’Istat
Cominciamo a ricordare cosa sostiene l’Istat, con l’Istituto nazionale di statistica che ricorda come nel 2015 gli occupati siano aumentati di 91 mila unità, con lo stesso trend dell’anno precedente, e confermando dunque l’inversione di tendenza rispetto al 2013. I dati non sono destagionalizzati, ma poco cambierebbe in termini sostanziali.
Se non cambia l’ammontare dei neo assunti rispetto al 2014, quel che cambia è, intuibilmente, la tipologia della nuova occupazione: i nuovi occupati a termine sono cresciuti anche nel 2015, ma meno rispetto al 2014 (+85 mila unità, rispetto a +117 mila unità dell’anno precedente). Crescono invece in misura molto dinamica gli occupati dipendenti permanenti, che salgono di 214 mila unità contro la flessione di 20 mila unità del 2014.
A sua volta, è facile pensare che questi nuovi occupati permanenti siano in buona parte “ex lavoratori indipendenti”, visto e considerato che negli ultimi due anni l’emorragia dei lavoratori autonomi è peggiorata, fino ad arrivare a – 208 mila unità nel solo 2015: giova pertanto ricollegare tale evidenza all’introduzione dell’esonero contributivo sui nuovi contratti a tempo indeterminato e, ulteriormente, delle norme contenute nel Jobs Act, che hanno determinato una “stretta” su false partite Iva e contratti Co.Co.Pro.
Cosa dice l’Inps
Per poter effettuare una migliore panoramica sul mercato del lavoro italiano bisogna tuttavia ricorrere ai dai Inps, considerato che dall’istituto previdenziale possono giungere ottimi spunti per comprendere quale sia stato, nel 2015, il saldo netto tra attivazioni e cessazioni di contratti di lavoro. Un saldo che è stato positivo per oltre 600 mila unità (era stato invece negativo nei due anni precedenti): in misura ancora più specifica, i rapporti di lavoro a tempo indeterminato hanno portato un saldo positivo per circa 764 mila unità (contro un dato negativo l’anno precedente), e i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato (al netto dunque delle trasformazioni di contratti precedenti) sono aumentati di quasi 600 mila unità (erano invece diminuiti nel 2014).
A conferma di quanto precedentemente elaborato, ricordiamo anche come – in ambito di nuovi rapporti di lavoro che hanno fruito dell’esonero contributivo di cui al decreto Poletti – nel 2015 i contratti sarebbero stati pari a 1.442.726 unità, di cui 1.079.070 nuove assunzioni, e ben al di sopra, dunque, del milione di euro che il governo auspicava. Merito, probabilmente, della corsa che si è scatenata nell’ultimo mese dell’anno, quando le imprese hanno stretto i tempi per poter godere appieno dell’esonero contributivo sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato. Ne è derivato che la quota di tali contratti sul totale dei contratti attivati/variati è schizzata al 67,8% dal 38,4% medio dei precedenti 11 mesi.
Sempre sulla base dei dati forniti dall’istituto previdenziale, emerge come nel 2015 l’esonero contributivo sembra aver favorito non solo una ricomposizione dell’occupazione a favore di quella permanente, ma anche un aumento complessivo dei livelli occupazionali: per quanto intuibile, è difficile stimare con esattezza quando dei nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato attivati nel 2015 non avrebbero avuto luogo in assenza di decreto Poletti e Jobs Act, così come è difficile stimare l’effetto in termini di maggiore occupazione totale derivante dal complesso di nuove norme in tema di mercato del lavoro.
Quanto sopra non impedisce, comunque, di poter effettuare qualche formulazione sintetica in tal senso, ricordando come sia indubbio, dai dati statistici, che l’esonero contributivo abbia avuto un effetto significativo nel far salire la quota di assunzioni a tempo indeterminato sul totale, favorendo pertanto una ricomposizione dell’occupazione in favore di quella permanente. Una ricomposizione che, come noto, dovrebbe a sua volta favorire i consumi, l’accesso al credito, e non solo (un capitolo a parte – che tratteremo nel prossimo futuro – è legato alla scarsa comparabilità tra i “nuovi” contratti di lavoro a tempo indeterminato, e quelli prima del Jobs Act…).
Ancora più complessivamente, è possibile affermare come nel 2015 le misure governative abbiano avuto un concreto effetto positivo nel favorire non solo la già ricordata ricomposizione dell’occupazione ma anche un aumento dei livelli occupazionali nel loro complesso. Se infatti è vero – come sostengono i critici a tali discipline di nuova introduzione – che la ripresa dell’occupazione era partita già dal 2014, e che probabilmente si sarebbero potuti riscontrare dati positivi anche al di là dei provvedimenti intrapresi – è anche vero che non può essere ascrivibile di coincidenza il fatto che gli occupati siano tornati a crescere su base tendenziale dal 2° trimestre 2014 (quello dell’entrata in vigore del decreto Poletti), mentre il PIL quasi un anno più tardi ovvero dal 1° trimestre del 2015 (nel 2014, invece, gli occupati sono cresciuti di +0,4% in presenza di un calo del PIL di -0,4%).
Se inoltre è vero – come sostiene un altro punto delle frequenti critiche – che a fine 2015 l’occupazione non ha accelerato rispetto a fine 2014 (+ 91 mila unità contro +97 mila unità ovvero +0,4% da +0,6% in termini non destagionalizzati), tuttavia nell’insieme del 201 gli occupati sono aumentati dello 0,8% (almeno secondo i dati provvisori mensili), un ritmo doppio rispetto all’anno precedente. Il tutto, in presenza di una contrazione delle forze di lavoro, ha permesso che il tasso di disoccupazione, che era continuato ad aumentare nel corso del 2014 (al 12,7% dal 12,2% del 2013), abbia invece intrapreso una discesa significativa nel 2015 (all’11,9%). Infine, si può integrare quanto sopra con l’evidenza secondo cui una pressione al ribasso sulla creazione di nuovi posti di lavoro è stata determinata dal riassorbimento dei cassintegrati, con un trend in flessione che è stato accelerato nel corso del 2015.
Ferme le considerazioni di cui sopra, è possibile che nel 2016 gli effetti dell’esonero contributivo, per la parte di competenza del nuovo anno, possano essere forse trascurabili, considerata la corsa nella parte finale del 2015, che potrebbe essere legata alla possibilità di anticipare le assunzioni per poter godere del benefit. Se così fosse, è possibile che i primi dati 2016 possano manifestare una correzione anche evidente, a rallentamento del tasso di disoccupazione in discesa (in tal senso, un ruolo non irrilevante potrebbero svolgerlo le attività di ulteriore assorbimento dei cassintegrati.
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