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Differenze salariali uomo – donna: permangono forti gap

L’8 marzo si celebra la Festa della Donna. Un evento che, probabilmente, costituisce la migliore occasione per ricordare quanto siano elevate le differenze salariali tra il gentil sesso e i colleghi maschi.

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L’8 marzo si celebra la Festa della Donna. Un evento che, probabilmente, costituisce una buona occasione per ricordare quanto siano ancora elevate le differenze salariali tra il gentil sesso e i colleghi maschi. Così, almeno, suggerisce il nuovo Rapporto Global Gender Gap, attraverso cui il World Economic Forum aggiorna periodicamente sul divario di genere nel mondo, e che conferma come i passi in avanti per l’azzeramento del differenziale di remunerazione tra uomini e donne (di cui ci siamo già occupati tempo fa, qui e qui)  siano lenti, lentissimi: appena il 4% di miglioramento in 8 anni (dal 60% al 56%).

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In altre parole, suggeriscono le analisi a margine del report, se lo stesso ritmo dovesse essere mantenuto per il futuro, occorreranno circa 80 anni per poter vedere raggiunta l’attesa parità.

Differenze salariali, tutte le ripercussioni

Un problema, quello di cui sopra, che riguarda anche e soprattutto il mercato italiano, con il nostro Paese che non brilla certamente per abbattimento di discriminazioni nei confronti delle donne (secondo una recente ricerca del Fmi, le discriminazioni contro le donne costerebbero la mancata realizzazione del 15% del Pil potenziale).

Secondo l’Istat e la sua ricerca sul capitale umano, ad esempio, le donne italiane sarebbero gravemente penalizzate dalla precarietà nel lavoro, da salari inferiori, da una minore continuità lavorativa nell’arco della vita, dalla difficoltà di conciliare la vita familiare e il contesto lavorativo, dalla mancata di servizi e dal difficile accesso al mercato del lavoro (che, ulteriormente, si aggrava nella permanenza di un forte gap pensionistico).

Tutto ciò, sottolineava una nota della Cgil, conduce all’evidenza che, ad oggi, il capitale umano delle donne è circa la metà di quello degli uomini, con un rapporto di 231 mila euro a 435 mila euro. E conduce altresì a verificare nel nostro Paese una quota di donne occupate del solo 46,5%, 12,2 punti percentuali inferiore alla media Ue. Alla luce di questi – e altri – dati, pertanto, in Italia appare ben evidente come una grossa fetta del capitale umano disponibile vada persa a causa delle già ricordate discriminazioni, e che le donne, loro malgrado, non riescono a ottenere quanto meritato per il loro contributo al benessere complessivo della nazionale.

Non è certamente un caso che l’Unione Europea sia tornata più volte sul nostro Paese, e sulle discriminazioni presenti. Nella speranza che, più prima che poi, possano essere applicati seri interventi normativi utili allo sviluppo concreto e positivo dello scenario tricolore.

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