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Donne al lavoro: crescono le opportunità, ma non le tutele

I dati dell'ultimo Rapporto annuale dell'Istat sul mondo del lavoro italiano forniscono l'ennesima panoramica in chiaro-scuro per quanto concerne lo scenario occupazionale femminile. Se da una parte, infatti, le donne che lavorano sono sempre di più (anche proporzionalmente rispetto ai loro colleghi maschi), è pur vero che, dall'altra parte, diminuiscono le tutele nei loro confronti. …

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I dati dell'ultimo Rapporto annuale dell'Istat sul mondo del lavoro italiano forniscono l'ennesima panoramica in chiaro-scuro per quanto concerne lo scenario occupazionale femminile. Se da una parte, infatti, le donne che lavorano sono sempre di più (anche proporzionalmente rispetto ai loro colleghi maschi), è pur vero che, dall'altra parte, diminuiscono le tutele nei loro confronti.

Più nel dettaglio, il Rapporto annuale dell'Istat afferma come “dal 1993 al 2011 gli occupati maschi sono scesi di 40 mila unità, mentre le occupate sono passate da circa 7,6 milioni a poco più di 9,3 milioni: questo incremento” – prosegue il report – “ha interessato circa un milione e mezzo di occupate nel Centro – Nord, ma solamente 196 mila nel Mezzogiorno”. Una emancipazione sicuramente positiva, che ha riguardato soprattutto il terziario, dove l'occupazione femminile è cresciuta fino a toccare quota 7,8 milioni di unità nel 2011, per lì83% del complesso delle occupate.

“Nell'industria in senso stretto” – si sofferma ancora l'Istituto Nazionale di Statistica – “le occupate sono sempre diminuite dal 2001 al 2010; per una donna, nella fase recessiva del 2008 – 2009 il rischio di perdere il lavoro non è dovuto solo alla maggiore presenza delle donne in particolari comparti, alla loro posizione lavorativa o alla dimensione di impresa, o ancora alla presenza di figli. Eliminando l'influenza di questi fattori” – allerta il Rapporto – “il rischio di perdere il lavoro nell'industria per una donna è superiore del 40% rispetto a un uomo”.

Insomma, a ben vedere i dati quantitativi dell'Istituto Nazionale di Statistica, sembra proprio che un'effettiva parità di tutele tra uomini e donne non sia ancora pienamente raggiunta, anzi. Gli stessi dati positivi sullo sviluppo dell'occupazione femminile devono inoltre essere corretti dalla natura delle relazioni lavorativa instaurate. Basti considerare, dice l'Istat, come “il part time abbia contribuito notevolmente alla crescita dell'occupazione femminile: fra il 1993 e il 2011 due terzi dell'aumento sono riconducibili agli impieghi a orario ridotto. Fra i 2,3 milioni di lavoratori a tempo determinato, quasi uno su due è donna (circa 1,1 milioni). Attualmente il 30% delle occupate lavora a tempo ridotto, ma per circa la metà di queste si tratta di part time involontario”. Pertanto, se è pur vero che le donne occupate sono sempre di più, è altrettanto vero come ben poche siano quelle in grado di poter garantire un afflusso reddituale particolarmente “certo”, essendo i contratti a tempo indeterminato una maggiore rarità rispetto alle forme di collaborazione atipica.

Infine, “nel 2012” – conclude l'Istat – “a due anni dalla nascita del figlio, quasi una madre su quattro, in precedenza occupata, non ha più un lavoro. A lasciare o perdere il lavoro sono prevalentemente le neo madri residenti nel Mezzogiorno, le più giovani, quelle che hanno avuto il primo figlio e quelle che vivono in coppia”.

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