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Fisco: aumenta ancora la pressione. 52% a fine 2012

Il peso delle tasse su famiglie ed imprese continua ad aumentare. Lo si evince dai dati Istat relativi all’ultimo trimestre del 2012, periodo nel quale la pressione fiscale è salita al 52%, aumentando di 1,5% in un solo anno. Se è vero, come scrive il Sole 24 ore,  che il fisco alla fine di ogni …

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Il peso delle tasse su famiglie ed imprese continua ad aumentare. Lo si evince dai dati Istat relativi all’ultimo trimestre del 2012, periodo nel quale la pressione fiscale è salita al 52%, aumentando di 1,5% in un solo anno. Se è vero, come scrive il Sole 24 ore,  che il fisco alla fine di ogni anno “vanta” una maggiore incidenza rispetto ai mesi precedenti, è altrettanto vero che la pressione causata dalle tasse aumenta di anno in anno (più 1,4% sul Pil, rispetto al 2011) e per motivi che spesso i cittadini non riescono a percepire come abbastanza concreti da giustificare un tale trend.

L’impressione che si ha, infatti, non è certo quella dello Stato cattivo che mette volutamente in difficoltà i suoi contribuenti. Tantomeno, appare essere quella del “purtroppo è necessario”. Spesso, l’impressione, è invece soltanto quella del “tanto non c’è niente da fare”. Viene tolta o abbassata una tassa/spesa, ma poi (o anche prima) arriva la nuova Tares, l’aumento dell’Iva (ancora ipotetico), l’Imu dell’anno scorso. E così, la pressione fiscale aumenta comunque. Le conseguenze di questo meccanismo sono chiare, chiarissime. Le imprese, sulle quali il fisco pesa per oltre il 68%, faticano a tirare avanti, rischiando di essere costrette a licenziare e/o indebitarsi con le banche proprio per pagare le tasse. Banche che, comunque,  anche loro colpite dalla crisi, difficilmente concedono credito.

Tutto questo, pesa sulle capacità produttive e di investimento, quindi sui salari e, quindi, sull’economia reale; quella aziendale, ma anche quella delle famiglie, che, quando spendono, lo fanno con incredibile cautela ed in misura sempre minore. Ammesso, ovviamente, che sia concesso loro di farlo. Perché quando il lavoro non c’è, la povertà inevitabilmente aumenta, mancando un reddito, o comunque un reddito certo. Crollando i consumi a causa della minore spesa, anche la produzione ne risente in maniera diretta, abbattendo le possibilità di lavoro, per giovani o meno giovani poco cambia. Un circolo vizioso che certo non è attribuibile solo all’imposizione fiscale troppo alta, ma che quest’ultima purtroppo contribuisce ad alimentare.

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