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I vantaggi per le aziende che assumono

La Legge di Bilancio 2023 prevede una serie di sgravi fiscali per le aziende che assumeranno determinate tipologie di lavoratori.

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L’ultima Legge di Bilancio valida per il 2023 prevede una serie di vantaggi per le aziende private che s’impegnano ad assumere determinate categorie di lavoratori. La misura è utile per ridurre la disoccupazione proprio dove questa sembra essere più difficile da sradicare. Ovvero, il Governo ha inserito nel testo della Legge una serie di sgravi fiscali, attraverso i quali si incentivano le imprese a farsi carico, per così dire, di determinate tipologie di lavoratori. Questo tipo di misura è quasi sempre presente in ogni Legge di Bilancio, a variare sono infatti le tipologie di lavoratori di cui sopra, le quali dipendono dalle politiche governative intraprese, ovvero quali chi decide pensa che siano i problemi più pesanti ed urgenti da affrontare e provare almeno ad attutire.

Quali categorie

Solitamente le categorie di lavoratori interessati dai vantaggi per le aziende vengono scelte in base a criteri ben precisi: uno di questi è quasi sempre stato l’età. Anche la Legge di bilancio 2023 infatti prevede sgravi fiscali per chi assume giovani. In questo caso il termine è da intendersi in modo abbastanza ampio visto che il limite di età è stato fissato a 36 anni. Ovvero gli sgravi varranno per gli assunti al di sotto dei 36 anni, specificando che non devono mai aver avuto un contratto a tempo indeterminato. Si tratta bisogna dire ci cifre non trascurabili, infatti l’esonero contributivo per questa categoria è del 100%, pur con un limite di 8000 euro annui, che però è maggiore dei 6000 dell’anno scorso. La durata dell’agevolazione è di tre anni (36 mesi). Per tutto il 2023 la stessa cosa varrà anche per chi assumerà percettori di Reddito di cittadinanza, che però dovrà stabilizzare a tempo indeterminato. In questo caso il vantaggio è attivo non per 36 mesi ma per 12.

Sempre l’esonero contributivo del 100% vale per quest’anno anche per le donne ritenute in una posizione svantaggiata, come ad esempio quelle disoccupate da più di due anni, uno solo se l’età supera i 50 anni. Ma la stessa cosa è attiva anche per quelle donne che dovrebbero andare a fare un lavoro in cui la disparità di genere è molto forte. Ovvero con questa misura s’incoraggiano i datori di lavoro ad assumere personale femminile lì dove è più raro che venga assunto.

La transizione verso la fine del Reddito di cittadinanza

L’esonero contributivo per i percettori di Reddito di cittadinanza quando essi vengono assunti a tempo indeterminato, si inserisce chiaramente nella logica del periodo transitorio che porterà, stando a quanto spesso annunciato dal Governo, all’abolizione del sussidio introdotto nel 2018 dal Governo Conte 1. L’attuale esecutivo ha sempre spiegato di voler combattere la povertà e la disoccupazione non attraverso un aiuto troppo generalizzato, ma creando lavoro ed aiutando le aziende ad assumere anche in maniera stabile. E’ quindi indiscutibile che gli sgravi riguardanti i percettori RDC siano pienamente intrisi di questa logica.

Così facendo infatti si invogliano le aziende ad assumere chi prende il Reddito, cosa che farebbe risparmiare soldi allo Stato da una parte e creerebbe lavoro dall’altra, migliorando la condizione stessa della persona (ricordiamo infatti che un Rdc medio si aggira sui 500 euro). Il Governo ha già ridotto a 7 le mensilità previste per il Rdc, contro le 18 con possibilità di rinnovo in vigore fino all’anno scorso. A fine anno Rdc dovrebbe essere abolito e sostituito da una nuova legge che, queste sono le intenzioni, andrà a sostenere con un sussidio mirato solamente le persone che materialmente non possono lavorare, spingendo tutte le altre a buttarsi nel mercato del lavoro. I motivi che muovono l’esecutivo sono tanti, tra i quali quello degli abusi, ovvero chi prende Rdc e lavora in nero (cosa che va ricordato non è regolare) e quello per il quale il sussidio in questione avrebbe dovuto anche generare posti di lavoro attraverso la formazione e l’inserimento tramite centri per l’impiego, cosa che però a quanto pare è avvenuta in maniera troppo poco incisiva per decidere di mantenere attivo il Reddito di cittadinanza.

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