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La natura della pausa con obbligo di reperibilità: riposo o orario di lavoro?

I giudici hanno fatto chiarezza sulla natura giuridica e sulla qualificazione della pausa da lavoro con obbligo di reperibilità.

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La pausa dal lavoro, con obbligo di reperibilità, è da qualificarsi come periodo di riposo o come orario di lavoro? Sulla vicenda è intervenuta una recente sentenza che ha cercato di dirimere le diverse opinioni in merito. Cerchiamo di sintetizzarle, rendendole facilmente fruibili, al fine di contribuire a generare un po’ di trasparenza nella materia.

Il riposo dal lavoro

La normativa italiana sull’orario di lavoro prevede che il lavoratore dipendente disponga di un riposo giornaliero di almeno undici ore ogni ventiquattro, da fruire di norma in maniera consecutiva. Oltre a ciò, il quadro normativo in vigore prevede anche che se l’orario di lavoro giornaliero eccede le sei ore, il lavoratore ha il diritto di beneficiare di un intervallo di pausa le cui modalità e la cui durata viene stabilità all’interno dei contratti collettivi di lavoro.

In questo senso, nelle ipotesi di assenza di una previsione contrattuale espressa su questo tema, la legge prevede anche che la pausa abbia un’estensione minima non inferiore ai dieci minuti, consecutivi, e che la collocazione della pausa da lavoro all’interno del consueto orario quotidiano di lavoro debba avvenire avendo in mente quali sono le necessità tecniche del processo lavorativo stesso. Come intuibile, l’obiettivo del legislatore è quello di permettere al lavoratore di recuperare le energie psicologiche e fisiche, avendo il tempo per consumare un pasto e rompendo il ripetitivo ritmo di lavoro.

Ciò premesso, la Sentenza 9 settembre 2021 C-107/19 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è inserita in un interessante caso, sottoposto alla propria attenzione: quello di un vigile del fuoco che ha domandato di essere considerato reperibile anche durante le pause, con presa di servizio entro due minuti dal momento della chiamata del proprio datore di lavoro.

È stato dunque richiesto alla Corte di chiarire se, sulla base del quadro normativo comunitario, soprattutto per quanto concerne la remunerazione, la pausa in orario di lavoro con obbligo di reperibilità possa qualificarsi o meno come orario di lavoro, piuttosto che come periodo di riposo.

Le definizioni di orario di lavoro e periodo di riposo

Per poter chiarire quando sopra, i giudici hanno innanzitutto riepilogato quali siano le definizioni di orario di lavoro e di periodo di riposo, con l’orario di lavoro definibile come quel periodo in cui il lavoratore è – appunto – al lavoro e, come tale, a disposizione del datore, svolgendo la propria attività e le proprie funzioni. Il periodo di riposo è invece da intendersi come ogni periodo che non è ricompreso nell’orario di lavoro.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha esaminato il caso in commento sancendo che il lavoratore a cui è chiesta la reperibilità durante la pausa sta in realtà assicurando quello che è definibile come servizio di guardia, ovvero rimanendo a disposizione del datore di lavoro, assicurando così l’esercizio della prestazione, a domanda di quest’ultimo.

Risulta anche di interesse notare come i giudici abbiano sancito che il concetto di orario di lavoro esclude quello di riposo. Pertanto, o il lavoratore si trova in una condizione di riposo, o si trova in una condizione di lavoro. Ma come capire quando si ricade nell’una o nell’altra situazione?

La valutazione della fattispecie concreta

I giudici suggeriscono di analizzare la fattispecie concreta avendo cura di valutare diversi aspetti, come ad esempio:

  • l’allontanamento dal luogo di lavoro
  • i vincoli imposti al lavoratore
  • le agevolazioni che sono concesse al lavoratore durante il servizio di guardia
  • il tempo di reazione, ovvero l’intervallo temporale entro il quale il lavoratore deve riprendere l’attività una volta che ha ricevuto la chiamata dal datore di lavoro.

Per esempio, se il lavoratore deve rimanere sul luogo di lavoro anche durante la pausa, poiché a disposizione immediata del datore di lavoro, allora tale periodo di tempo non potrà che qualificarsi come orario di lavoro.

Se invece non c’è obbligo per il lavoratore di trattenersi sul luogo di lavoro, comunque il periodo di guardia potrebbe caratterizzarsi, in regime di reperibilità, come orario di lavoro, se i vincoli imposti al dipendente sono talmente significativi e stringenti da impedirgli di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali.

Alla luce di ciò, la Corte ha concluso che la pausa giornaliera con obbligo di reperibilità e presa di servizio entro due minuti è da intendersi come orario di lavoro se, dalla valutazione di tutte le circostanze pertinenti, i vincoli che sono stati imposti al dipendente durante la pausa sono in grado di pregiudicare significativamente la sua facoltà di gestire il tempo libero.  

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