C’è chi dà i numeri e chi va matto per i numeri. Chi vive serenamente affidandosi al caos generale e chi, al contrario, non riesce a non organizzare e sistematizzare tutto quello che gli sta intorno. Si tratta, in questo secondo caso, di persone dotate di una vera e propria “vocazione scientifica”, che non andrebbe mai soffocata. Ma semmai seguita e coltivata, soprattutto quando si tratta di fare scelte che riguardano il proprio futuro. Ecco perché chi ha sempre passato il compito di matematica ai compagni in classe, scoprendo che la soluzione degli esercizi più astrusi gli procurava un certo piacere, dovrebbe prendere seriamente in considerazione l’idea di mettersi in tasca una laurea in Matematica. Per fare cosa? Scopriamolo insieme.
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Numeri e massini sistemi
I corsi universitari in Matematica prevedono un triennio di base (laurea di primo livello) a cui può aggiungersi un biennio di specializzazione (laurea magistrale). Le materie studiate sono tantissime e variano, ovviamente, in base all’indirizzo scelto. L’offerta didattica dei vari atenei (i Dipartimenti di Scienze matematiche si fanno sempre più strutturati) spazia dall’algebra all’analisi matematica, dalla fisica alla geometria, dalla statistica all’analisi funzionale, dalla meccanica razionale ai metodi di approssimazione numerica. Per arrivare, nei corsi di laurea magistrale, allo studio di discipline ben più impegnative come la meccanica analitica e celeste, la relatività e cosmologia o la geometria complessa (solo per citarne alcune). I corsi di laurea in matematica, insomma, non fanno solo al caso di chi scopre di avere una passione sfrenata per i numeri ed i calcoli. Ma anche di chi si pone continui interrogativi sui massimi sistemi e si avventura in sfide titaniche dagli sviluppi imprevedibili.
I dati di AlmaLaurea ed Excelsior
Ma quante possibilità ha un dottore in Matematica di trovare lavoro in Italia? Il Rapporto AlmaLaurea datato 2015 ha interpellato quasi 1.300 laureati di primo livello scoprendo che, ad un anno dalla laurea, l’84,7% di loro era iscritto ad un corso magistrale. Che, nel 37,8% dei casi, stava frequentando per ampliare il ventaglio delle opportunità professionali. Ancora: il 23,1% del campione lavorava, il 65,2% non lavorava ma stava cercando mentre l’11,7% non lavorava e non cercava. Tra coloro che lavoravano, il 52,7% proseguiva il lavoro che svolgeva prima di iscriversi all’università, il 36,7% aveva iniziato a lavorare dopo la laurea triennale e il 10,3% faceva un lavoro diverso rispetto agli studi intrapresi. Svolgendo un’occupazione che, solo nel 15,3% dei casi, risultava stabile e che faceva guadagnare mediamente 654 euro netti al mese. Diverso il discorso per i laureati magistrali: ad un anno dalla laurea, infatti, il 56,3% di loro risultava occupato, il 29,1% non lavorava e non cercava e il 14,6% non lavorava ma cercava. Tra coloro che lavoravano, il 19,1% aveva firmato un contratto a tempo indeterminato, mentre il 32,8% risultava impiegato part-time. I guadagni? La media mensile, secondo AlmaLaurea, superava i 1.050 euro netti. E a 5 anni dalla discussione della tesi, le cose per i dottori magistrali in Matematica si erano messe ancora meglio: il 72,7% di loro lavorava (nel 54,8% dei casi, in maniera stabile), portando a casa uno stipendio che sfiorava mediamente i 1.500 euro netti al mese. Di più: il 57,2% del campione interpellato dichiarava di considerare la laurea conseguita efficace ed utile per il lavoro che svolgeva. E le previsioni per il futuro? Sembrano profilare buone opportunità. Secondo il rapporto realizzato da Excelsior ed Unioncamere, le imprese italiane, nel 2015, avevano programmato l’assunzione di 7.600 laureati in area scientifica (2.800 tra matematici e fisici), facendo salire la domanda dell’11,4% in un solo anno. Un andamento che, secondo gli esperti del settore, dovrebbe confermarsi anche nell’anno in corso.
Gli sbocchi professionali: non solo insegnamento
Ma quali sono gli sbocchi professionali che possono aprirsi per un laureato in Matematica? Pensare che la laurea gli spianerà solo la strada dell’insegnamento è un luogo comune. I “dottori dei numeri” possono lavorare in banca, nelle assicurazioni, negli istituti che realizzano sondaggi, negli enti di ricerca, nelle società di consulenza, nella pubblica amministrazione, nelle Borse e nei mercati e ovviamente nelle industrie. Dove vengono impiegati solitamente nel settore ricerca e sviluppo, ma anche in quello dell’informatica. Per non parlare dei matematici che operano nel settore bio-medico o in quello dei trasporti e della logistica. O di coloro che si sono specializzati nell’ambito della grafica, della crittografia o della meteorologia. Ovunque ci sia la necessità di fare dei calcoli, insomma, la laurea in matematica risulta particolarmente richiesta. Chi esce da un ateneo con il titolo in mano può dunque aspirare a fare l’insegnante (anche universitario), il ricercatore, il consulente o l’impiegato d’azienda, l’operatore e l’analista finanziario. Ma non solo: c’è anche chi, nelle grandi strutture pubbliche come gli ospedali, cura gli algoritmi di ottimizzazione della turnistica e chi viene assunto come esperto forecasting e – numeri alla mano – deve prevedere gli andamenti finanziari del futuro. Il ventaglio delle opportunità occupazionali si amplia, insomma, continuamente. Di pari passo con l’allargarsi delle nuove “frontiere” del business, che richiede professionisti sempre più qualificati e, per certi versi, visionari. Come dimostra la testimonianza di un laureato dell’università di Genova: “Gli studi matematici – ha spiegato – mi hanno fornito i mattoncini per costruire il mio percorso: il rigore della dimostrazione per verificare la percorribilità di soluzioni di business, la capacità di astrazione per immaginare nuovi scenari, il ragionamento deduttivo e sintetico per affrontare la complessità”.
Le migliori università secondo il Censis
Se vi state chiedendo quali sono le università migliori per studiare matematica, a fornirvi un’utile indicazione potrà essere la classifica del Censis che “incorona” al primo posto l’università di Trieste, seguita da quelle di Camerino, Torino, Trento e Perugia. Molta meno dimestichezza con i numeri avrebbero, invece, secondo il Centro studi di investimenti sociali, i docenti delle università di Bari, del Molise, di Palermo e, soprattutto, di Napoli Parthenope.