Agli italiani non piace lavorare di notte: è quanto si potrebbe dedurre consultando l’ultimo studio realizzato dalla Cgia di Mestre secondo cui la quota di occupati notturni in Italia è la più bassa di tutta Europa. Ma per comprendere le reali ragioni di un tale posizionamento, il quadro va analizzato con più attenzione. Per scoprire, ad esempio, che le cose cambiano parecchio durante i fine settimana e che la scarsa propensione al lavoro notturno può avere i suoi vantaggi.
L’indagine dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre ha rilevato che, contro una media europea del 19,1%, in Italia la percentuale di occupati notturni si ferma al 13,1% (la più bassa di tutto il Vecchio Continente). Si tratta di circa 3 milioni di persone che, almeno una volta al mese, lavorano tra le 22,00 e le 5.00 del mattino. Ma cosa succede negli altri Paesi? Anche i tedeschi non sembrano troppo affezionati al lavoro notturno svolto solo dal 16,4% degli occupati, mentre nel Regno Unito la percentuale sale fino al 21,7%. Lavorare di notte sembra essere, invece, una prassi abbastanza consolidata sia in Spagna (dove la percentuale si attesta al 21,9%) che in Francia (22,5%). Ma c’è da fare una precisazione: la percentuale italiana cresce in maniera esponenziale (raggiungendo il 58%), se si prendono in considerazione i fine settimana durante i quali, in tutta Europa, solo i britannici lavorano più di noi.
Fin qui le cifre. Ma cosa c’è dietro i dati che certificano la scarsa propensione a lavorare di notte? “La ragione di un’incidenza percentuale così bassa – ha spiegato il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – va ricercata nella dimensione media molto contenuta delle nostre aziende. Ricordo che in Italia il 98% delle imprese ha meno di 20 addetti e in queste piccole aziende trova lavoro oltre il 60% del totale degli occupati nel settore privato. Nel manifatturiero, ad esempio, solo nelle medie e grandi imprese è possibile organizzare l’attività produttiva a ciclo continuo, nelle micro imprese, invece, questo è estremamente difficile”.
Ma lavorare poco di notte può avere i suoi vantaggi: “Chi lo fa per molti anni – ha precisato Zabeo – vede pressoché stravolta la propria vita relazionale. Infatti, è molto difficile conciliare gli impegni familiari con quelli di lavoro. L’alterazione dei regolari ritmi del sonno, inoltre, in molti casi dà luogo a problemi di salute accrescendo, come hanno dimostrato molte ricerche medico-scientifiche internazionali, il rischio di incorrere in patologie cardiovascolari e neoplastiche. Insomma, lavorare di notte abbassa la qualità della vita e mette a rischio la salute, ma grazie al fatto che abbiamo poche grandi aziende questo ci rende più virtuosi degli altri”. Per una volta, insomma, essere gli ultimi della classe ha rappresentato un vantaggio (almeno parziale).
Ma chi sono le persone che scelgono o sono costrette a lavorare mentre gli altri dormono? L’elenco è molto lungo: si va dai giornalisti, tipografi e tecnici della comunicazione agli addetti alla manutenzione delle strade, vigilantes e netturbini. Dalle forze dell’ordine ai gestori di locali, passando per i medici e gli infermieri e per i lavoratori dei mercati all’ingrosso. Ma non solo: tra i lavoratori notturni, ci sono anche molti addetti ai call center e all’elaborazione dei dati, oltre ai panettieri, pasticcieri, autotrasportatori, taxisti e impiegati delle imprese di pulizie che lavorano quando gli uffici sono ancora chiusi. L’indagine della Cgia di Mestre ha messo in evidenza che, in Italia, il 16,1% dei lavoratori by night ha tra i 35 e i 49 anni, il 14,3% ha meno di 35 anni mentre l’8,9% supera i 50 anni. E che a lavorare di notte sono – come era facile prevedere – più gli uomini (16%) che le donne (9,6%).
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