Alcune modifiche alla proposta di Direttiva sulle case green ammorbidiscono la questione, ma i problemi sostanziali restano tanti.
Si sta facendo strada l’ipotesi che alla proposta di Direttiva europea sulle cosiddette case green verranno applicate modifiche sostanziali. Questo perché probabilmente ci si comincia a rendere conto che un sistema del genere, soprattutto in alcuni paesi come l’Italia, risulterebbe del tutto inapplicabile. E’ infatti inutile istituire una Direttiva quando questa rimarrebbe in molti casi, per così dire, lettera morta. Tali modifiche riguarderebbero la fattibilità economica e tecnica, ovvero gli edifici privi di almeno una di queste due sarebbero esclusi. Come quelli di culto o d’interesse storico, e anche le seconde case e quelle situate in aree vincolate e protette. Viste così, tali modifiche non risolverebbero però in alcun modo il problema.
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Per la ristrutturazione servono 3800 anni
Facciamo per un attimo un passo indietro: per rendersi conto della questione si può citare la ricerca fatta recentemente dall’Ance, l’associazione costruttori. Per ristrutturare l’intero patrimonio immobiliare del Paese senza incentivi servirebbero 3800 anni. Per ristrutturarne “solo” il 15% ne servirebbero 630. Ma il problema degli incentivi come quello del Superbonus 110% degli anni scorsi è che lo Stato potrebbe non avere i soldi per finanziare lavori su circa nove milioni di case. Stiamo infatti parlando di centinaia di miliardi di euro. Non è nemmeno plausibile pensare che il pubblico abbia i soldi per tutto, anche per questo la Direttiva risulterebbe in Italia molto poco applicabile nei fatti.
I problemi restano
Escludendo gli edifici storici e di culto è vero che si riduce, ma non in grandissima parte, il numero di case da ristrutturare, però: il parametro ad esempio che parla della “fattibilità tecnica”, a parte essere abbastanza interpretabile andrebbe comunque a danno di quelle case, salvo che il mercato riesca a diversificarsi nella valutazione economica degli immobili. Ovvero? Una casa ristrutturata varrà, nelle intenzioni della proposta di Direttiva, molto di più di una non ristrutturata. Mancando la fattibilità tecnica, molti edifici letteralmente non potranno essere aggiornati, ma questi quindi varranno molto meno di altri a prescindere? Ecco, la risposta in effetti sta tutta nella capacità del mercato di capire le “esigenze” dei vari edifici, ma la cosa non è per nulla scontata, e imporre una cosa simile per legge sembra piuttosto azzardato. Una casa in un borgo storico rischierebbe di valere molto meno di una normalissima costruzione di nessun interesse che però ha goduto della ristrutturazione, ma a parte questo, il tutto risulta comunque un attacco al patrimonio delle famiglie, visto che di quelle case esistono dei proprietari.
Per quanto riguarda l’esclusione delle seconde case, la storia sembra un po’ paradossale. Chi ha una seconda casa infatti, normalmente ha una disponibilità economica maggiore di chi di casa ne ha solo una. Di conseguenza, in mancanza di incentivi che coprano l’intera spesa, cosa che come abbiamo detto non è per niente facile da istituire, persone con meno soldi si troverebbero a dover sostenere spese che chi di soldi ne ha di più potrebbe almeno parzialmente evitare. A prescindere da questo discorso, c’è da dire anche di più. Infatti non è nemmeno detto che chi ha una seconda casa sia benestante. In Italia avere due case, magari non grandi, ma due, non è così strano. Spesso si tratta di piccole costruzioni situate al mare o in montagna, le cosiddette case delle vacanze (quelle utilizzate meno di quattro mesi l’anno), che vengono frequentate solo in stagioni precise (estate o inverno) e che richiedono spese minime. Quindi anche chi ha una seconda casa e si trova a dover rifare la prima potrebbe avere diversi problemi sia tecnici che economici. Anche quelle in aree vincolate o protette potrebbero essere escluse, ma il nodo resta quello del valore che assumeranno gli edifici non soggetti a ristrutturazione.
La questione del mercato immobiliare
La storia è decisamente complessa in quanto edifici costruiti anche in zone vicine tra loro potrebbero assumere valori completamente diversi a seconda del fatto di essere o meno seconde case (paradossalmente due case adiacenti potrebbero avere valori completamente differenti), essere in aree protette o no e via dicendo. Tutto questo risulta comunque una sorta di aggressione al patrimonio familiare, in quanto anche non dovendo ristrutturare casa, questa probabilmente perderebbe di valore. Salvo che appunto il mercato immobiliare riesca a “capire” il tutto e riuscire a proporre prezzi diversi per edifici con destinazione differente. Ma la cosa non sembra essere così facile. Inoltre perché qualcuno dovrebbe voler comprare una casa classificata ad esempio come “seconda” a poco prezzo sapendo che potrebbe anche non rivalutarsi mai? In questo la proposta di Direttiva non sembra avere molto senso, perché non “capisce” che alcuni stati, avendo patrimoni immobiliari particolari rispetto agli altri non possono essere trattati nella stessa maniera.
E i soldi?
Per tutti questi problemi e non solo, l’Italia potrebbe non recepire la Direttiva europea qualora questa venisse mai approvata. In questo caso il mercato immobiliare nazionale conserverebbe in toto la propria autonomia. Bisogna capire che un incentivo al 100%, che copra cioè il cappotto termico, il cambio degli infissi e della caldaia, almeno, o l’installazione di pannelli solari dove c’è il posto per metterli, costerebbe allo stato circa 1400 miliardi di euro. Si tratta sostanzialmente (all’incirca) del Pil, il Prodotto interno lordo di un anno dell’intera nazione (nel 2020 ad esempio è stato di 1650 miliardi). Come è facile intuire un’operazione simile, anche impiegando l’intero Pnrr (cosa impossibile) risulterebbe estremamente ardua. Un’altra questione da tenere presente è che vi sarebbe una incredibile richiesta di materiali che il mercato edilizio (e non solo quello) potrebbe faticare non poco a soddisfare nei tempi previsti.
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