Con l’introduzione del nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti resta ferma la possibilità di reintegro in caso di licenziamento discriminatorio
Il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, uno dei due finora emessi in attuazione del Jobs Act (legge delega 10 dicembre 2014, n. 183) ha introdotto e regolamentato il nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e all’art. 2 ha confermato la possibilità per il lavoratore di ottenere il reintegro in caso di licenziamento discriminatorio. Il licenziamento discriminatorio, secondo l’articolo 15 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970), è quello intimato a causa dell’adesione del lavoratore a un’organizzazione sindacale o per ragioni religiose, politiche, di sesso e di razza, o basato sull’orientamento sessuale o le convinzioni personali.
La procedura
Dinanzi al giudice il lavoratore deve riferire tutte le circostanze sulla base delle quali affermi di essere stato vittima di un atto discriminatorio. Grava sul datore l’onere di provare il contrario, secondo le regole ordinarie del processo civile.
Qualora sia effettivamente accertato il fine discriminatorio, il giudice, dichiarata la nullità del licenziamento, ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Al lavoratore è inoltre concessa la possibilità di chiedere all’ex datore, in sostituzione della reintegrazione, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, non assoggettata a contribuzione previdenziale.
Anche secondo il nuovo decreto attuativo è fatta salva la possibilità per il lavoratore di ottenere un risarcimento pari alle mensilità (commisurate all’ultima retribuzione) non percepite dal momento del licenziamento sino a quello del reintegro, al netto delle retribuzioni guadagnate per eventuali altre attività lavorative nel frattempo svolte.
La tutela del reintegro rimane inoltre espressamente prevista nel caso di licenziamento intimato oralmente e pertanto inefficace (la forma scritta rimane un requisito ineludibile), e nel caso di licenziamento nullo per espressa previsione di legge, come quello intimato contro le disposizioni a tutela della maternità e paternità o per ragioni di matrimonio.
Infine la possibilità di chiedere e ottenere il reintegro, nell’ambito del nuovo contratto a tutele crescenti, resta anche nel caso in cui lo stesso venga intimato sulla base di un motivo relativo ad una disabilità fisica o psichica del lavoratore, che non appaia giustificato.
A chi si applica la nuova disciplina in caso di licenziamento discriminatorio?
Il reintegro nel caso di licenziamento discriminatorio può essere richiesto dai lavoratori assunti con la qualifica di operai, impiegati o quadri, con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, dopo l’entrata in vigore del decreto n. 23/2015 o quando, sempre dopo l’entrata in vigore del decreto, un apprendistato o tempo determinato si trasformi in indeterminato.
Le sanzioni e le conseguenze del licenziamento discriminatorio, per quanto riguarda la parte datoriale, continuano ad applicarsi indistintamente ad imprenditori e non, a prescindere dal numero di lavoratori occupati nell’azienda.
Rispetto all’art. 18 della Legge n. 300/1970, la disciplina è rimasta sostanzialmente identica. Manca però nell’art. 2 del D.Lgs. 23/2015 la possibilità di reintegro per il licenziamento intimato per un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c. (ipotesi residuale che sussiste solo quando non sia stato intimato per altri motivi, come quelli discriminatori). Per i neo assunti con il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, in tali ipotesi, l’unica tutela garantita resterà quella risarcitoria.
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