La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco delle rivalutazioni delle pensioni di poco al di sopra dei 1400 euro lordi contenuto nella Legge Fornero voluto dal Governo Monti per fronteggiare l’emergenza finanziaria. Il provvedimento in discussione è quello contenuto nel cosiddetto “Salva Italia” del 2011, ovvero il decreto 201, poi convertito in Legge, all’interno del quale venne inserita la norma che bloccava le rivalutazioni delle pensioni al di sopra di un certo limite, ovvero tre volte il minimo Inps, per gli anni 2012 e 2013. Una norma che ai tempi fece sicuramente il suo effetto, generando per lo Stato un risparmio di oltre 3 miliardi di euro.
La Corte dei Conti e un pensionato di Palermo, che si rivolse al Tribunale di competenza, si schierarono contro questo provvedimento, facendo finire il caso davanti ai Giudici della Consulta. Questi ultimi hanno ieri depositato la sentenza 70/2015 (risalente al 10 marzo), con la quale hanno giudicato illegittimi i mancati aumenti. Si apre così un nuovo caso: ora infatti starà all’attuale Governo Renzi decidere tempi e modalità di restituzione dei soldi ai quali i pensionati hanno dovuto rinunciare a causa della norma contenuta ne Dl 201/2011.
Legge Fornero e pensioni: ora un buco da 5-10 miliardi?
Come spesso accade in questi casi, a poche ore dalla diffusione della sentenza il cosiddetto “balletto delle cifre” è già cominciato. L’avvocatura dello Stato, ha indicato in circa 5 miliardi di euro il “buco” per le casse statali, ma, contando “l’effetto-trascinamento per i periodi successivi”, come lo ha definito Il Sole 24 Ore, il conto di quanto andrà veramente restituito potrebbe avvicinarsi ai 10 di miliardi. Un’ottima notizia per oltre 5 milioni di pensionati, tra i quali quelli che vivono con un reddito esattamente corrispondente o vicino, per eccesso, al triplo del minimo Inps, che certo non possono essere definiti “ricchi”, in senso puramente economico.
Le ragioni della sentenza
Secondo i giudici della Consulta, la norma del Dl in oggetto viola gli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione italiana. Sostanzialmente, il legislatore può intervenire modificando gli importi, anche limitandone la perequazione, ma deve farlo bilanciando le esigenze dei conti pubblici con quelle dei singoli individui, ovvero la “garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona”. Insomma, se è una priorità salvaguardare i conti pubblici, lo è parimenti tutelare il reddito individuale dei pensionati che non possono godere di entrate così consistenti da poter fronteggiare un blocco pur temporaneo delle loro rivalutazioni, senza subire conseguenza significative in riferimento al tenore di vita.
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