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Licenziamento illegittimo se il dipendente fa sport senza aggravare le sue condizioni

Non può essere legittimamente licenziato il dipendente che fa sport senza aggravare le sue condizioni. Vediamo cosa dice nel dettaglio una recente sentenza della Corte di Cassazione.

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Stando a quanto afferma la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 1374/18, non può essere legittimamente licenziato il dipendente che fa sport, pur avendo conseguito la dispensa dal dover effettuare mansioni particolarmente gravose, tranne l’ipotesi secondo cui l’attività sportiva condotta non sia in grado di aggravare la malattia dello stesso dipendente.

Sport

Attività sportiva in caso di dispensa da lavori gravosi

La recente pronuncia della Suprema Corte chiarisce che il dipendente che, in seguito a un pregiudizio attinente la propria salute e il proprio benessere, riesca a ottenere una dispensa dalla conduzione di mansioni gravose in ambito lavorativo, non può comunque essere destinatario di un provvedimento di licenziamento per la sola fattispecie che, in orario esterno a quello in cui è impegnato in sede lavorativa, si dedichi a un’attività sportiva.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha dunque ritenuto illegittima, poiché sproporzionata, la decisione che l’azienda datrice di lavoro ha formalizzato nei confronti del proprio dipendente, licenziandolo solamente perché svolgeva tale pratica ludico-sportiva, nonostante in ambito professionale avesse ottenuto una dispensa a non effettuare dei lavori particolarmente pesanti.

Licenziamento illegittimo se non c’è aggravamento della malattia

Nelle sue motivazioni gli Ermellini sottolineano inoltre come per poter produrre in modo legittimo un provvedimento di licenziamento nei confronti del proprio lavoratore che, nonostante abbia ottenuto una dispensa da lavori gravosi a causa delle sue specifiche condizioni di salute, si impegni in una pratica sportiva, occorrerà verificare volta per volta che questa iniziativa ludico-sportiva sia effettivamente incompatibile con la malattia segnalata dal dipendente, verificando altresì che questa attività sportiva sia o meno in grado di aggravare le proprie condizioni.

Nel caso in esame, era invece emerso come in seguito ad alcuni accertamenti di merito effettuati, non potessero essere sostenuti dei dati e delle informazioni cliniche che consentissero di individuare e di quantificare un pregiudizio effettivo o potenziale alle condizioni di salute del lavoratore, connesso alla pratica sportiva scelta (il tennis).

I giudici hanno infatti precisato come potesse essere esclusa la natura professionale della malattia, e che la Corte di merito non ha affermato che una potenziale riassegnazione del lavoratore alle sue originarie mansioni (bilanciatore) potesse determinare un pregiudizio sulle sue condizioni di salute, essendosi invece limitata a segnalare come la società – nel caso in cui avesse dubitato della effettiva incompatibilità tra la patologia e le mansioni del dipendente – avrebbe potuto scegliere di riassegnare le stesse qualora il lavoratore fosse risultato idoneo all’esito di una visita medica. In ogni caso, precisano ancora i giudici, ad essere oggetto di lite non è l’accertamento del diritto della società ricorrente di riassegnare al proprio lavoratore le mansioni originarie, bensì la verifica della sussistenza della giusta causa del licenziamento.

Ne deriva che nell’ipotesi di mancanza di ogni tipologia di incompatibilità dello sport con la malattia del lavoratore, i giudici della Suprema Corte ha ritenuto esclusa la prova di ogni responsabilità disciplinare del dipendente, confermando così la scelta che era già stata assunta in precedente pronuncia della Corte d’Appello, che aveva dichiarato come illegittimo il provvedimento licenziamento che era stato comminato al dipendente dal proprio datore di lavoro.

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