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Lo stop alle sanzioni Russia vale 3 miliardi per l’agricoltura italiana

Nel discorso di fiducia al Senato il neo-premier Giuseppe Conte ha ipotizzato la revisione del sistema di sanzioni che negli ultimi anni hanno gravato sugli scambi commerciali verso la Russia; una mossa che, se concretizzata, darebbe ben più di una boccata di ossigeno all’export italiano

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Nel discorso di fiducia al Senato il neo-premier Giuseppe Conte ha ipotizzato la revisione del sistema di sanzioni che negli ultimi anni hanno gravato sugli scambi commerciali verso la Russia; una mossa che, se concretizzata, darebbe ben più di una boccata di ossigeno all’export italiano verso il Paese orientale, valutata addirittura intorno ai 3 miliardi di euro.

agricoltura

L’embargo russo

Per la precisione, il Presidente del Consiglio ha detto che l’Italia si farà promotrice presso l’Ue di questa istanza, e quindi la battaglia è anche diplomatica, per convincere i partner e rimuovere gli ostacoli; le sanzioni sono state introdotte da Putin come “ritorsione” alle misure attivate dall’Occidente in conseguenza della guerra in Ucraina, e hanno provocato l’embargo totaleper una importante lista di prodotti agroalimentari, come frutta e verdura, formaggi, carne, salumi e pesce provenienti da Ue, Usa, Canada, Norvegia ed Australia, in base al decreto n. 778 del 7 agosto 2014, più volte rinnovato.

Una mossa da 3 miliardi per l’export

Secondo Coldiretti, questa mossa ha causato “un blocco dannoso per l’Italia, anche perché al divieto di accesso a questi prodotti si sono aggiunte le tensioni commerciali che hanno ostacolato di fatto le esportazioni anche per i prodotti non colpiti direttamente, dalla moda alle automobili fino all’arredamento”. L’associazione ha provato anche a fare una stima dell’impatto del sistema sanzionatorio, rivelando che “le esportazioni italiane sono scese ad un valore di poco inferiore agli 8 miliardi di euro nel 2017, rispetto agli 11 miliardi del 2013“.

Lo scenario geo-politico dell’embargo

Come accennato, il blocco dei rapporti commerciali con lo Stato dell’Est Europa parte in seguito al mancato riconoscimento da parte dell’Unione Europea dell’annessione alla Federazione Russa della Crimea e della città di Sebastopoli, ritenuta illegale, e all’indipendenza della repubblica del Donesk. Come contromisura alle mosse “azzardate” del Cremlino il Consiglio europeo decise di avviare forti restrizioni alle relazioni economiche con questi territori filorussi. Tra le altre, queste misure comprendono il divieto di importazione di beni provenienti dalla Crimea e da Sebastopoli, imposto a partire dal giugno 2014, e una serie di restrizioni, introdotte già nel successivo mese di luglio, sugli scambi e gli investimenti relativi a taluni settori economici e progetti infrastrutturali. Sempre da quattro anni, inoltre, sono attivi un divieto totale sugli investimenti e un divieto di prestazione di servizi turistici in Crimea, e il blocco è stato esteso anche alle esportazioni di altri beni essenziali per determinati settori, tra cui le attrezzature per l’esplorazione, la prospezione e la produzione di petrolio, gas e risorse minerarie.

Un bilancio del blocco

A fine 2017, era stata già un’analisi del Sole 24 Ore a fare luce sugli effetti economici delle sanzioni decise dall’Unione europea che, secondo l’autore, hanno raggiunto l’obiettivo di danneggiare l’economia russa. Portando come riferimento i dati Eurostat, si nota come l’interscambio commerciale dell’UE con la Russia sia quasi dimezzato, scendendo dagli oltre 338 miliardi di euro del 2013 ai circa 191 miliardi del 2016; inoltre, lo Stato orientale ha subito anche le conseguenze del crollo dei prezzi del petrolio, entrando così in una fase di recessione che ha provocato una contrazione del PIL per due anni, una caduta della domanda domestica e del reddito disponibile, a cui poi hanno fatto seguito una crescita in doppia cifra dell’inflazione e un incremento del tasso di povertà. In particolare, per quanto riguarda questo ultimo aspetto, circa il 13 per cento della popolazione russa risulta sotto il livello di sussistenza.

Coldiretti e la politica

Tornando all’Italia, l’azione del nuovo Governo potrebbe rimettere in moto un sistema che vale almeno 3 miliardi di euro, dicono da Coldiretti, che quindi offre un nuovo endorsement dopo quello del presidente Roberto Moncalvo, che in occasione dell’ufficializzazione della lista dei ministri aveva ben accolto la nomina di Gian Marco Centinaio a ministro delle Politiche agricole, aprendo a “una dura battaglia per difendere il primato dell’agricoltura italiana in Europa per valore aggiunto, qualità, sicurezza alimentare ed ambientale”.

L’endorsement di Gesmundo

L’associazione in realtà ha cercato sempre di collaborare con le forze politiche in modo trasversale, e lo evidenziano anche alcune iniziative degli ultimi anni. Ad esempio, al momento del Referendum Costituzionale del 2016 Gesmundo Vincenzo, segretario di Coldiretti, ufficializzò in una assemblea il sostegno alla campagna per il sì (e, di conseguenza, alle posizioni di Matteo Renzi), arrivando a dire che il referendum è come “un autobus che passa una volta ogni 40 anni, se non lo prendiamo adesso non ripassa più”.

Il Patto del Parmigiano

Più recentemente, nella fase di campagna elettorale verso l’ultima tornata del 4 marzo, lo stesso Gesmundo era stato protagonista del “Patto del Parmigiano” con Forza Italia e Silvio Berlusconi in persona: partecipando a un incontro promosso dalla Coldiretti, il Cav ha apprezzato l’omaggio di una forma di Parmigiano Reggiano come simbolo delle eccellenze agroalimentari italiane, assicurando allo stesso tempo che il manifesto politico dell’associazione degli imprenditori agricoli sarebbe stata “parte integrante del programma di Forza Italia”. Ipotesi ovviamente superata dall’esito del voto, che comunque non ha “spiazzato” troppo Coldiretti, pronta a dialogare anche col nuovo governo per difendere le produzioni agricole nazionali.

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