La mail aziendale (o più precisamente email aziendale) deve essere utilizzata solo per scopi professionali. Tuttavia, la sua fruizione per scopi personali non è sufficiente per poter legittimare il licenziamento. Stando alla sentenza n. 22353/2015 della Corte di Cassazione, infatti, l’utilizzo a scopo personale della mail aziendale deve condurre a una sanzione proporzionata, che spesso non deve indurre a giungere al licenziamento, se la condotta del dipendente non ha prodotto danni seri e quantificabili all’azienda.

Dunque, la Cassazione non sembra supportare, a prescindere dall’analisi della fattispecie concreta, l’applicazione della massima sanzione nei confronti del dipendente che ha utilizzato a scopo personale l’email aziendale, suggerendo invece l’applicazione di una sanzione disciplinare conservativa. Se invece la condotta del dipendente ha prodotto un danno quantificabile e significativo, tale comportamento sarebbe determinante per poter giustificare il licenziamento per giusta causa.
La posizione assunta dalla Cassazione – peraltro non nuova, bensì consolidante una precedente giurisprudenza in materia – non sembra aver convinto le valutazioni interpretative della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che in un documento (qui disponibile integralmente), avanzano qualche perplessità.
La posizione della Suprema Corte, scrivono i Consulenti, “finisce, infatti, per legittimare l’azione di quel dipendente che, esplicitamente e coscientemente, contravvenendo a specifiche indicazioni precauzionali del datore di lavoro, utilizzi a fini personali strumenti informatici di cui dispone in ragione della posizione professionale ricoperta in azienda”.
Non solo. “Un’impostazione, quest’ultima, che espone il datore di lavoro al rischio continuo che il dipendente in questione reiteri il suo comportamento ad libitum, privando di valore vincolante le ripetute indicazioni circa l’utilizzo appropriato della strumentazione di lavoro” – scrive ancora la Fondazione – “Come è in effetti avvenuto nel caso di specie, ove il dipendente non si era semplicemente limitato a violare la disposizione del contratto collettivo che vieta l’uso improprio di strumentazione aziendale, ma aveva aggravato la sua posizione non attenendosi alle specifiche e comprovate indicazioni ulteriormente fornitegli”.
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