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Pensioni: le ragioni della bocciatura del blocco della rivalutazione

La Corte Costituzionale solleva uno sgradito problema per il governo Renzi, bocciando il blocco rivalutazione pensioni.

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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 70 del 30 aprile 2015, ha bocciato la norma che per due anni (2012 e 2013) ha bloccato la rivalutazione delle pensioni sopra i 1.217 euro netti (1.405 euro lordi, pari a tre volte il minimo Inps). Una brutta notizia per il governo (che dovrà ora recuperare circa 5 miliardi di euro quale costo di tale sgradevole pronuncia della Consulta), e una sentenza che continuerà a far discutere nell’ambito delle eredità della legge Fornero.

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image by Ruslan Guzov

Ma in che modo il legislatore è arrivato a una simile decisione?

Stando a quanto ricorda la Corte, il legislatore avrebbe “valicato i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto” per i titolari delle pensioni oltre tale importo.

Cosa cambia per i pensionati

Per i pensionati interessati da tale decisione, una gradevole ventata di ossigeno: i pensionati riceveranno infatti dall’Inps due anni di arretrati, e il conseguente aggiornamento delle rivalutazioni degli anni seguenti (anche la quota di aumento annuale è infatti soggetta a rivalutazione).

Dove sorge il problema?

Il problema nasce con il comma 25 dell’art. 24 del d.l. 201/2011, la manovra Salva Italia del governo Monti, poi convertito dalla legge n. 214/2011 in materia di perequazione delle pensioni. Promossa dal tribunale di Palermo e dalle Corte dei conti di Emilia Romagna e Liguria, la lamentela si basa sulla presunta natura tributaria della misura (riscontro non accolto) e sul riferimento alla mancata proporzionalità e adeguatezza delle pensioni (accolta).

In particolare, con riferimento ai principi di proporzionalità e di adeguatezza di cui agli artt. 36 e 38 della Costituzione, la Corte ritiene che il legislatore sia andato oltre la discrezionalità che gli è consentito nella scelta del meccanismo di perequazione delle pensioni, con “irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della proprie attività“.

In maniera ancora più specifica, il blocco biennale della perequazione ha negato ai pensionato il proprio interesse alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite.

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