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Perché ci ritroviamo a fingere al lavoro

Fare cose che non ci aggradano può essere deleterio. Parliamone col capo, valutando la possibilità di cambiare qualcosa

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Fingere vuol dire far credere a qualcuno qualcosa che non corrisponde al vero. Si può fingere a fin di bene, per proteggere una persona da una realtà che rischia di ferirla, o per il semplice gusto di ingannare e dissimulare. Può accadere in amore, nell’amicizia e al lavoro, quando ci sentiamo sopraffatti dagli impegni che non riusciamo ad onorare o vinti dalla noia che ci toglie ogni entusiasmo. Non c’è da stare troppo tranquilli: quando l’abitudine a dire o fare quello non è vero diventa sistematica, il problema deve essere riconosciuto ed affrontato. Perché se fingiamo frequentemente al lavoro – ingannando noi stessi e gli altri – allora vuol dire che ci troviamo in una situazione di disagio, che ci procura un certo malessere. Meglio tirarsene fuori il prima possibile; già, ma come si fa? Cerchiamo di capirlo insieme.

Fingere di lavorare non è così difficile

Qualche anno fa, alla ricercatrice americana Erin Rein venne in mente di sondare l’effettiva dedizione di alcuni lavoratori al loro mestiere. Quello che ne venne fuori è che limitatamente al campione interpellato dalla studiosa (che rappresentava, ovviamente, solo una minima parte della complessa realtà lavorativa negli Usa), molti intervistati avevano maturato una discreta capacità di fingere di lavorare. Per essere più precisi: il 31% degli uomini e l’11% delle donne interpellati dichiaravano di aver imparato ad ingannare i loro superiori, ai quali facevano credere di essere degli stacanovisti, quando invece non lo erano affatto. Perché lo facevano? Perché se avessero chiesto apertamente ai loro capi di lavorare di meno o in maniera diversa, avrebbero ottenuto in risposta un secco “no”. E a pagarne maggiormente le conseguenze, stando a quanto certificato dallo studio, sarebbero state le donne.

L’indagine condotta dala Rein deve essere letta ed interpretata in maniera corretta, evitando di equivocarne il senso. Ingannare il datore di lavoro non è certo una condotta encomiabile, ma la responsabilità di quanto accade in certi uffici – dove i dipendenti fingono di lavorare alacremente mentre chattano con gli amici o acquistano articoli di ogni sorta su Amazon (solo per fare due esempi) – non può essere addossata unicamente a loro. Alcuni dirigenti dovrebbero, infatti, sforzarsi di prestare più attenzione ai fatti (ed ai risultati che i loro sottoposti producono) piuttosto che alle apparenze. E realizzare che, per quanto possano vigilare, la possibilità che vengano presi in giro da lavoratori particolarmente scaltri esiste eccome.

Come e perché fingiamo al lavoro

Ma torniamo a noi: appurato che fingere al lavoro non è infrequente, cerchiamo di capire quali sono i motivi o le circostanze che ci portano a simulare, in maniera più o meno riuscita, un interesse o un coinvolgimento che di fatto non abbiamo. Fingiamo al lavoro quando facciamo sì con la testa a persone che neanche ascoltiamo o quando facciamo credere al capo di prendere appunti su un argomento che, in realtà, padroneggiamo già da tempo. Ma fingiamo anche quando ringraziamo per l’assegnazione di un incarico che non ci alletta per niente e che decidiamo di accettare solo perché non vogliamo scontentare (o indisporre) la persona che ci corrisponde lo stipendio ogni mese.

Fare buon viso a cattivo gioco può metterci al riparo da rimbrotti e defenestrazioni, ma ne vale sempre la pena? Sforzarci di apparire felici e soddisfatti (quando in realtà non lo siamo) può essere sfiancante. E non si trascuri l’insidia di essere scoperti: quando il capo si renderà conto che abbiamo lavorato senza slancio e convinzione per buona parte del tempo, ne resterà fatalmente deluso e tenderà a non fidarsi più di noi. Possiamo quindi concederci il lusso di dire sempre quello che pensiamo, tirandoci indietro quando qualcuno ci chiede di fare qualcosa che non ci piace? Ovviamente no. Il lavoro implica una quota di sacrificio a cui non possiamo sottrarci (specie quando le cose non vanno bene), ma se fingere al lavoro è diventata una consuetudine e la nostra permanenza in ufficio si è trasformata in una vera e propria “farsa”, il campanello d’allarme non può essere ignorato.

La probabilità di fingere dipende da quello che dobbiamo fare

Quando realizziamo (al di là di ogni ragionevole dubbio) che trascorriamo più ore a fingere che ad essere sinceri e schietti con chi ci sta accanto in ufficio, dobbiamo correre ai ripari, partendo da una disamina attenta di quello che ci viene chiesto di fare. Cerchiamo di capire quali sono le incombenze che ci procurano più fastidio ed ansia e quali quelle che affrontiamo, invece, con una certa serenità. La probabilità di fingere al lavoro è strettamente legata alla tipologia di incarico che ci viene affidato: se ci piace, le cose vanno bene; se non ci piace, rischiano di andare a rotoli. Possiamo rivolgerci ad un collega (a cui chiedere, se le circostanze lo consentono, di farsi carico di quello che non ci aggrada) o spiegarlo direttamente al capo. Fingiamo perché siamo costretti ad occuparci di cose che non ci appassionano o che consideriamo troppo complesse o noiose. Parlarne apertamente con chi ci chiede di portarle a termine potrebbe essere la soluzione. A patto che dimostriamo che non si tratta di semplice pigrizia, ma della volontà di cimentarci in qualcosa che ci coinvolga davvero e che ci procuri una certa gratificazione. Ovviamente non possiamo pretendere che il capo riformuli tutto per soddisfare i nostri desideri, ma possiamo legittimamente sperare di negoziare un tipo di collaborazione che si adatti maggiormente alle nostre aspirazioni e alle nostre attitudini.

A volte occorre cambiare del tutto

Cerchiamo di capire, insomma, quali sono i compiti che non ci fanno stare bene e quali quelli a cui non vediamo l’ora di dedicarci. Se abbiamo notato che facciamo fatica a restare otto ore seduti dietro una scrivania perché amiamo contrattare direttamente coi clienti, chiediamo al nostro responsabile di farci uscire di più dall’ufficio. Non si tratta di fare i capricci o di tirarci indietro, ma di modulare il nostro impegno in maniera strategica, cercando di far coincidere il profitto dell’azienda con la nostra realizzazione personale. Essere onesti con se stessi e con gli altri ripagherà tutti. Ci ritroviamo a fingere al lavoro perché quello che si aspettano da noi non coincide con quello che vorremmo o che ci sentiamo in grado di fare. Non è un dramma: a tutti può capitare di acquistare un vestito di una taglia sbagliata. Meglio chiedere al negoziante la cortesia di cambiarlo con qualcosa di più appropriato che fingere che ci calzi a pennello. E se proprio non c’è modo di cambiarlo, valutiamo la possibilità di rinnovare completamente il nostro look. L’opzione può far paura, ma merita (a nostro avviso) di essere vagliata. Perché un lavoratore che finge continuamente non ha alcuna speranza di arrivare “pacificato” all’agognata pensione.

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