La storia che ha per protagoniste una setter inglese di 12 anni e la sua padrona di Roma è già diventato un caso. Perché rappresenta un precedente importante per i tanti amanti degli animali che vivono e lavorano in Italia.
La signora Anna, single ed impiegata all’Università La Sapienza di Roma, aveva chiesto un giorno di permesso per assistere il suo cane malato, ottenendo in risposta un “no”. Quando l’animale si è ammalato nuovamente, si è informata meglio e, con l’aiuto della LAV (Lega Anti Vivisezione), è riuscita ad avere giustizia. E ad ottenere i due giorni di permesso retribuito di cui aveva fatto domanda.
In sostanza, la giurisprudenza ha riconosciuto che la malattia di un animale domestico rappresenta un “grave motivo familiare e personale” e configura il diritto di chiedere ed ottenere un permesso retribuito dal lavoro. Proprio come è successo alla signora Anna di Roma che, dopo aver chiesto un primo permesso (non ottenuto), a febbraio, per la malattia della sua setter inglese, quando l’animale si è ammalata nuovamente, a maggio, ha deciso di raccontare la sua storia. Il suo cane doveva subire un delicato intervento alla laringe e, non potendo delegare a nessuno le sue cure, aveva chiesto al suo datore di lavoro di assentarsi per un giorno. Incassando un nuovo diniego.
Ma a supportarla è intervenuto, questa volta, l’ufficio legale della LAV che, spulciando tra le sentenze emesse dalla Cassazione, ne ha scovate due in cui veniva evidenziato che la mancata cura di un animale domestico equivale a commettere reati gravi come l‘abbandono ed il maltrattamento.
Alla luce della documentazione presentata (le sentenze citate sono, nello specifico, la n. 21805 del 18/04/2007 della III sezione penale e la n. 5979 del 13/12/2012 della III sezione penale) e del certificato medico emesso dal veterinario che ha operato la setter inglese, l’università romana ha quindi concesso i due giorni di permesso retribuito di cui la sua dipendente aveva fatto richiesta. “Con le dovute certificazioni medico-veterinarie – ha commentato il presidente della LAV, Gianluca Felicetti – chi si troverà nella stessa situazione potrà citare questo importante precedente, che ha aiutato la signora nella vertenza. Si tratta di un altro significativo passo in avanti che prende atto di come gli animali non tenuti a fini di lucro o di produzione sono, a tutti gli effetti, componenti della famiglia”.
“In questo modo – ha aggiunto Felicetti – la legge potrebbe trattarli come membri della famiglia e regolare, ad esempio, permessi di lavoro e affidamenti, in caso di morte o di divorzio”. La speranza, per la Lega Anti Vivisezione e per i tanti amanti degli animali che vivono nel Bel Paese, è che la storia della signora Anna aiuti ad ottenere qualcosa di più. Visto che dal 2008, giace ferma in Parlamento una proposta di legge che chiede di armonizzare il Codice Civile al Trattato dell’Unione europea, riconoscendo gli animali come “esseri senzienti” e non come “beni mobili”. “Speriamo che il prossimo Governo ed il prossimo Parlamento abbiano il coraggio di fare un altro passo avanti verso un’organica riforma del Codice Civile, approvando la nostra proposta di legge ferma dal 2008″, ha concluso il presidente della LAV.
Gli amici di Fido adesso lo sanno: se il loro amico dovesse ammalarsi, non dovranno più fare “carte false” al lavoro. Appellandosi alla storia dell’impiegata di Roma, avranno buone chance di ottenere il permesso retribuito di cui hanno bisogno.
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