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Privacy: le telefonate di lavoro su Skype? Sono inviolabili

Il caso di una dipendente licenziata ha riacceso l’attenzione sui limiti che devono essere posti al controllo degli strumenti utilizzati per lavorare

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Per parlare con clienti e fornitori, non si devono usare necessariamente il telefono o le email. Le comunicazioni di lavoro possono passare anche attraverso software come Skype che (come è noto) consente di fare telefonate sfruttando la connessione internet. Ma cosa succede quando le conversazioni di un dipendente vengono “origliate” dal datore di lavoro? “Il contenuto di comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro – ha spiegato il Garante per la Privacygodono di garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale”. In pratica: le nostre conversazioni su Skype non possono essere spiate.

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image by LDprod

A sollevare la questione è stata la dipendente di un’azienda di logistica licenziata sulla scorta delle informazioni che il suo capo aveva reperito dall’ascolto delle telefonate fatte su Skype. La lavoratrice si è rivolta al Garante della Privacy ed ha avuto ragione perché ha dimostrato che il datore di lavoro aveva violato la riservatezza delle sue telefonate telematiche. Di più: un’analisi attenta del caso ha messo in evidenza come il datore in questione si fosse spinto decisamente troppo in là, provvedendo a installare un software che gli permetteva di ascoltare le conversazioni Skype della dipendente non solo dal computer dell’ufficio, ma anche da quello di casa. Con un’eclatante violazione della sfera privata della donna. Se è, infatti, vero che il datore di lavoro può definire le modalità di utilizzo degli strumenti aziendali (ponendo, ad esempio, dei paletti sull’uso di Skype), è altrettanto vero che deve farlo nel rispetto della libertà e della dignità dei suoi dipendenti. E ispirandosi a principi di correttezza e pertinenza. Perché, come ha ben evidenziato il Garante: l’esercizio del controllo da parte del datore di lavoro può determinare la raccolta di informazioni personali, anche non pertinenti, di natura sensibile oppure riferite a terzi”.

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