Il prezzo che paghiamo per la diffusione degli smartphone, dei tablet, delle nuove applicazioni che ci aiutano in tante occupazioni quotidiane, è la riduzione della nostra privacy. Quante volte ci viene chiesto di comunicare la nostra posizione per poter accedere e usare un’app sul nostro telefono?
La risposta è: “molto spesso”. Ma la tecnologia non ha cambiato solo la nostra vita privata. Ha chiaramente avuto un forte impatto anche sulla privacy sul posto di lavoro, mettendo forse a rischio il diritto alla riservatezza dei dipendenti, o comunque mutando il rapporto fino ad ora instaurato in materia tra questi ultimi e il datore di lavoro. Ed ultimamaente a balzare agli onori delle cronache è stata la questione del cosiddetto controllo a distanza dei lavoratori operanti fuori sede,un tipo di controllo sempre più in via di diffusione.
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Statuto dei Lavoratori e Jobs Act: cosa è cambiato
“È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”. In materia di privacy sul posto di lavoro, con questa norma, a porre un freno ai controlli a distanza dei datori sui dipendenti, ci ha pensato per tanti anni l’art.4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970). Oggi i diritti e la dignità dei lavoratori non sono mutati. Sono però cambiati i modelli industriali e produttivi. Ed è proprio l’equilibrio tra queste due prerogative che dovrà raggiungere il decreto attuativo del Jobs Act. Infatti l’art. 1, comma 7, lettera f della Legge 183/2014, ha delegato al Governo l’adozione di misure volte a regolamentare questa problematica, superando così la norma dello Statuto.
Prima di questa riforma, durante gli scorsi decenni, la giurisprudenza si è sempre attestata su posizioni molto rigide, sanzionando duramente i datori di lavoro che cercavano di adottare sistemi di video sorveglianza o controllo a distanza dei lavoratori. Oggi le sollecitazioni affinché venga emesso un testo chiaro in proposito sono numerose. In particolare le associazioni datoriali, soprattutto di alcuni comparti produttivi, invocano la necessità di regole chiare a tutela delle esigenze di ottimizzazione e informatizzazione dei cicli di lavoro. Da una parte quindi il diritto inviolabile alla privacy dei lavoratori, dall’altra le esigenze di produzione, della “customer satisfaction”, di celerità, che impongono un ripensamento dei rigidi divieti fino ad oggi vigenti.
A fornire un’apertura in tal senso è intervenuto il Garante della protezione dei dati personali con due provvedimenti dello scorso ottobre. L’autorità ha infatti rilasciato parere favorevole, dopo essere stata interpellata da due società (Ericsson Telecomunicazioni S.p.a. e Wind Telecomunicazione S.p.a.), in merito all’uso di tecniche di geolocalizzazione sui dispositivi mobili dei dipendenti qualificati come tecnici di rete, e quindi operanti al di fuori della sede aziendale. L’autorità ha considerato lecite le finalità aziendali, invocate dai due operatori delle telecomunicazioni, di miglioramento del servizio fornito agli utenti finali, di maggiore efficienza di gestione delle attività d’emergenza esterne e di miglior supporto e sicurezza per gli stessi tecnici operanti fuori sede. Allo stesso tempo non ha tralasciato di indicare i paletti entro cui sarà possibile questo tracciamento: l’applicazione per la geolocalizzazione non potrà infatti raccogliere gli altri dati presenti sullo smartphone dei dipendenti, che potranno essere sempre in grado di verificarne l’attivazione tramite un’apposita icona sullo schermo.
La difesa della privacy sul posto di lavoro a livello UE
Il problema della videosorveglianza e del controllo a distanza dei lavoratori interessa anche Bruxelles. E l’invito ad adottare una normativa chiara in proposito arriva anche dall’unione Europea. La raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio Europeo del primo aprile scorso ha sottolineato come la privacy sul posto di lavoro e quindi dei lavoratori stessi sia un bene da proteggere e ha esortato gli Stati membri a legiferare sulla materia, invitandoli a seguire una serie di linee guida. Il Comitato, nel testo del provvedimento, ha precisato che l’utilizzo dei sistemi di localizzazione non deve risolversi in un sistema di monitoraggio dei dipendenti, ma deve essere soltanto uno strumento per migliorare la produzione e la sicurezza per i lavoratori stessi.
Non si può quindi prescindere da queste finalità, mentre non può essere la localizzazione stessa del dipendente un obiettivo da perseguire. La raccomandazione non è vincolante ma resta comunque importante per i lavoratori vittime di controlli troppo invadenti. Può infatti essere invocata di fronte agli organi giurisdizionali degli stati membri. Adesso possiamo solo attendere il prossimo provvedimento del Governo, che dovrebbe essere emesso fra pochi giorni, visto il termine di sei mesi fissato dal Jobs Act per l’esercizio della delega, e verificare come (e se) recepirà gli stimoli nazionali e comunitari.
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