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Referendum voucher e appalti: com’è veramente la situazione?

Dopo il referendum costituzionale, stiamo probabilmente per entrare in una nuova stagione calda per quanto riguarda la regolamentazione del mercato del lavoro. Le proposte avanzate dalla CGIL (referendum voucher e appalti) riguardano l’abolizione dei cosiddetti voucher, ossia la retribuzione del lavoro accessorio attraverso dei buoni e l’abolizione dell’articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, cioè …

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Dopo il referendum costituzionale, stiamo probabilmente per entrare in una nuova stagione calda per quanto riguarda la regolamentazione del mercato del lavoro. Le proposte avanzate dalla CGIL (referendum voucher e appalti) riguardano l’abolizione dei cosiddetti voucher, ossia la retribuzione del lavoro accessorio attraverso dei buoni e l’abolizione dell’articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, cioè il ripristino della responsabilità dell’azienda appaltatrice, oltre a quella che prende l’appalto, in caso di violazioni subite dai lavoratori, norma che era stata cancellata dalla legge Biagi, in seguito modificata dalla legge Fornero. Nonostante la CGIL abbia inaugurato la campagna referendaria per il SI, in molti ritengono (sperano) che non si possa escludere una possibile soluzione normativa che scongiuri un lungo dibattito su tematiche considerate relativamente “marginali” rispetto alle vere sfide che attendono domani il nostro mercato del lavoro.  Tra queste persone, c’è Francesco Giubileo, esperto di politiche attive del lavoro a cui chiediamo di darci alcune delucidazioni sui vari argomenti.

 

referendum voucher e appaltiTra i due temi, quello sui Voucher appare, non saprei dire se a torto o ragione, il più rilevante. Com’è veramente la situazione?

Nel 2015 il numero di voucher utilizzati è effettivamente aumentato di 10 volte rispetto al 2010, l’utilizzo è ormai generalizzato in quasi tutti i settori economici (spiccano l’alberghiero, il turismo e il commercio). Tuttavia, i 115 milioni di voucher del 2015 coinvolgono circa 1,4 milioni di persone (di cui poco più della metà è disoccupata o inattiva), ma si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di lavori sporadici in media non superiore ai 600 euro annui (coloro che hanno percepito meno di 500 euro risultano quasi un milione) e difficilmente configurabili come sostituzione di un lavoro regolare. In dettaglio, i lavoratori che hanno percepito più di 1.000 euro netti con i voucher risultano 207.000 più o meno quelli che ne percepiscono meno di 5 all’anno. Sempre nel 2015, tra i percettori oltre il 60 % riguarda prestatori al primo anno di lavoro accessorio, vuol dire che anche l’idea di una precarizzazione del contratto in questione è da escludere, almeno per la maggioranza dei destinatari.

 

Da questi dati pare di capire che il quadro sia un po’ meno “cupo” di quello dipinto dalla CGIL …

Diciamo che l’utilizzo dei Voucher può nascondere attività irregolari o meglio forme di lavoro “grigio”, oppure attività che effettivamente sostituiscono lavoratori a cui andrebbe garantito un regolare contratto di lavoro  a tempo determinato. Detto questo si tratta probabilmente di circa 200-300 mila persone, ovvero circa 1-2 % dell’intero mercato del lavoro italiano. Questo non toglie che il governo, consapevole di un uso spesso “improprio” dello strumento ha previsto con un decreto correttivo la sua tracciabilità: i committenti imprenditori o professionisti sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, a comunicare alla sede territoriale dell’Inps, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione. In caso di violazione, scatta la sanzione da 400 a 2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. E’ un passo in avanti notevole, il successo o meno della tracciabilità dipende dal numero e dall’intensità dei controlli che verranno fatti dagli ispettori del lavoro e si spera anche dalla polizia municipale, attraverso un apposito nucleo specializzato, come avviene nel comune di Milano.

 

Lei è tra quelli che ritengono possibile un accordo che eviti una nuova campagna referendaria che inevitabilmente finirà per dividere le varie parti in campo. Ma la soluzione quale sarebbe?

La CGIL dovrebbe accettare la proposta del’ex-ministro del lavoro Cesare Damiano, ora presidente della Commissione lavoro della Camera, che in sostanza  punta ad un  ritorno alla legge Biagi del 2003 con l’obiettivo di circoscrivere la possibilità di utilizzare i voucher ad attività “meramente occasionale”.  Analogamente, in materia di responsabilità solidale negli appalti, sempre Cesare Damiano propone in caso di appalto di opere e servizi, che il committente imprenditore/ datore di lavoro sia obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno di eventuali subappaltatori a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, i contributivi previdenziali e i premi assicurativi. Tale proposta aggiunge anche un secondo aspetto importante, ovvero l‘esclusione dalle gare di appalto indette dalle amministrazioni pubbliche per le imprese condannate in via definitiva per violazione delle disposizioni in materia di responsabilità solidale. Onestamente, credo che per entrambe le parti Governo e CGIL, le proposte di Cesare Damiano possano essere una buona base da cui avviare una concertazione sul tema che eviti il referendum.

 

Ma voucher e a responsabilità solidale degli appalti sono davvero  temi centrali per il mercato del lavoro italiano attuale?

Sono entrambe tematiche importanti, ma non si osserva il vero problema, ovvero l’impatto che le nuove tecnologie e il web 2.0 stanno provocando nel mercato del lavoro, temo che l’Italia su questo versante non sia ancora pronta, rischiamo in alcuni settori un vero tsunami.

 

Scusi, più precisamente?

L’arrivo di Amazon nel mercato delle vendite on-line ha “devastato” il mercato del lavoro degli Agenti commerciali, dei grandi distributori di elettrodomestici o vestiti e arriverà un forte  impatto anche nelle GDO, senza considerare le conseguenze nel settore bancario con la diffusione del conto on-line. Altro settore in forte sofferenza è quello dell’assistenza telefonica sempre più automatizzata (che impatta sui dipendenti dei call-center) e un sistema produttivo globale che vede sempre più una grande concentrazione di centri produttivi a discapito delle sedi periferiche.

 

Sta prospettando milioni di licenziamenti nei prossimi anni ?

No, se il paese e le parti sociali saranno capaci di comprendere questo fenomeno. Il modello richiede una forte accelerazione dell’artigianato locale verso la digitalizzazione online e il mercato internazionale; il termine ”artigiano” è fondamentale perché l’unico che si salverà dal modello di concentrazione produttiva a livello globale (nulla toglie che come cattedrali nel deserto anche l’Italia presenti qualche leader di mercato per alcuni prodotti). Altra questione è la capacità di comprendere i nuovi mercati ed i nuovi prodotti, le faccio un esempio: la diffusione (parzialmente già in atto, Nda) delle Auto ibride richiederà sempre più nuove competenze per coloro che oggi si occupano di manutenzione e riparazione auto. Questi come stanno affrontando la cosa ? La realtà è che non la stanno affrontando (o comunque lo stanno facendo in pochi) e (quindi) rischiano lo tsunami. Invece di pensare solo al breve periodo, dovrebbero acquisire quelle competenze tramite la formazione continua per lanciarsi in un nuovo mercato che sta arrivando. Ecco queste sono le sfide che nei prossimi anni il mercato del lavoro italiano dovrà affrontare, purtroppo rischiamo che i ragionamenti come l’utilizzo dei voucher ci faccia guardare al topolino e non all’elefante.

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