Il primo ostacolo è determinato dalla mancanza di una vera volontà politica in tal senso: infatti la sinistra dei partiti è vicina ai magistrati, i quali nel 90% sono a loro volta vicini alla sinistra, mentre gli altri partiti non hanno o non hanno dimostrato carattere e attributi per mettere limiti allo strapotere (ingiustificato?), perché forse non appaiano integri sotto l’aspetto morale e non solo: così da provare un senso di timore reverenziale verso I magistrati.
Usando un eufemismo, possiamo dire che chi tocca i fili muore (Berlusconi docet). In più se aggiungiamo la minaccia avanzata da parte dell’associazione nazionale magistrati di incrociare le braccia e scendere in sciopero, come se fosse una parte sociale, che pretende solo privilegi e diritti, senza doveri ma soprattutto senza alcuna forma di controllo, allora possiamo dire veramente di essere alla frutta. Non si è intervenuti sulla doppia indennità dei magistrati impegnati in vari ministeri o ambasciate, non si sono toccati i discorsi sulla meritocrazia, ma si continua a scalare le carriere con scatti automatici. Soprattutto non si è voluto intervenire sulle famose porte girevoli che permettono ai magistrati di fare
politica e poi ritornare negli uffici giudiziari a giudicare le persone. Niente sulle separazioni delle carriere e sulla responsabilità civile dei magistrati.
Riforma del CSM
Non si può immaginare una riforma del CSM, cioè dell’organo di autogoverno della magistratura, un organo ormai vetusto ed è obsoleto, così come attualmente concepito e strutturato. Non importa se si scelgono i componenti con il solito sistema delle elezioni o con il sorteggio: è importante farlo e farlo subito, con la premessa dell’allargamento del CSM anche ai giudici onorari (GOT, giudici di pace) che sono 6 mila a fronte dei 9 mila giudici togati.
In Italia ci sono i 200 Giudici che svolgono funzioni amministrative nei Ministeri, anziché trovarsi in una sede giudiziaria. Oltre alle centinaia di magistrati distaccati nelle varie segreterie di ministeri o di enti. Fatto non trascurabile neppure dal punto di vista economico. Gli emolumenti da magistrato e politico si cumulano (incrementando notevolmente l’introito mensile) e valgono viepiù ai fini pensionistici. Ma è lecito chiedersi, da cittadini, perché i magistrati dovrebbero essere utilizzati in sede diverse da quelle giudiziarie per le quali hanno partecipato e vinto un regolare concorso? Non hanno vinto un concorso presso un Authority. E poi occupare tali incarichi, significherebbe che le varie strutture siano prive di funzionari amministrativi competenti e preposti a quello scopo.
Non è più giustificabile che la magistratura sia uno Stato nello Stato, una categoria chiusa ed intangibile, che sia un corpo estraneo, sicuramente non in sintonia con il paese reale, oltre che legale. Non deve essere messa in pericolo prima di tutto la funzione di garanzia che la Costituzione assegna la magistratura, che non può continuare a condizionare la vita politica ed economica di un intero paese, agendo in sedi e vesti che, istituzionalmente, le competono poco.
La durata dei processi
Altro tema ignorato, la durata dei processi. Incentrando il discorso sui numeri, sulle fonti ufficiali e statistiche, non v’è alcun dubbio nell’affermare che l’Italia, nella classifica della lentezza della Giustizia civile 2020, occupa il 54° posto, dopo Ruanda (30°) e Ghana ( 46°), ciò comportando come ulteriore conseguenza, una decrescita o riduzione degli investimenti esteri scoraggiati da una giustizia lumaca. Altra faccia della stessa medaglia, la lentezza dei processi costa all’Italia condanne milionarie dalla Corte europea di Strasburgo, come si evince dalla relazione annuale sull’esecuzione delle sentenze, presentata al 8 gennaio 2020 con riferimenti al 2018.
Occorre invertire la rotta, individuando i reali responsabili di questa lentezza: non è corretto che sia solo lo Stato a pagare (e per esso il cittadino), senza alcuna conseguenza a carico di chi ha contribuito a quella condanna, non ottemperando tempestivamente e diligentemente al proprio lavoro. E lo dico da membro “attivo” della giustizia, in ragione delle cariche che ho rivestito in passato e di quelle che rivesto tutt’oggi, pronto a prendermi le mie responsabilità per eventuali inefficienze.
Ma mi rivolgo, parimenti, a tutti i soggetti istituzionalmente demandati a vigilare sull’operato e sullo scorrimento della macchina della giustizia. Sotto altro profilo, io stesso ho più volte avanzato proposte capaci di incidere direttamente sulla durata dei processi, garantendo dei termini ben precisi entro cui trattare le cause. In estrema semplificazione, propongo “provocatoriamente” tre articoli:
- art. 1- I processi penali vanno definiti in primo grado entro tre anni dalla notitia criminis;
- art. 2- I processi civili vanno definiti entro due anni dalla citazione;
- art. 3- i giudici che non ottemperano ai suddetti articoli sono sottoposti a procedimenti di controllo volti all’accertamento di eventuali responsabilità.
Invece no, continuiamo a parlare del sesso degli angeli.
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