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Salvate il “Tonno” Palamara (e più che altro la giustizia)

I recenti fatti a riguardo di Palamara hanno manifestato una tendenza a processi sommari ed epurazioni dal sapore staliniano, stimolando alcune riflessioni.

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Ormai da almeno un anno i mass media si occupano con continuità della vicenda Palamara, ex componente del CSM e presidente della ANM, a partire dalla famosa cena, oggetto delle arcinote intercettazioni, fino alla espulsione dalla ANM ed alla recente radiazione dalla magistratura. “Palamara, come il tonno…“, lo definì Cossiga in un intervento del 2008 in cui attaccò duramente l’allora presidente di ANM, con una similitudine che, ad oggi, risulta quasi profetica, visto l’indubitabile agio di costui a districarsi nelle “correnti”.

Riflessioni sulla vicenda Palamara

Premesso che, in qualità di cittadino e di magistrato onorario ho sempre criticato il comportamento poco ortodosso (per usare un eufemismo) di Palamara, i fatti recenti hanno manifestato una insopportabile tendenza a processi sommari ed epurazioni dal sapore staliniano, stimolando alcune riflessioni, a mio parer, d’obbligo.

In particolare, è quantomeno fastidioso l’atteggiamento di chi, sino al giorno prima, chiedeva appuntamenti e favori a Palamara, per poi il giorno dopo alla sua caduta dal ponte di comando (o di potere), sale sul carro della “gogna”, avallandone prima la cacciata dall’associazione magistrati e poi dalla magistratura stessa. La vicenda evoca a tratti la storia di Bettino Craxi, tanto “spettabile” e tanto amato prima della sua caduta, e poi morto da solo, in esilio. Con a posteriori il riconoscimento del suo valore, anche da parte di taluni suoi avversari.

Una lotta tra “bande”

Quando circa un anno fa uscì fuori la storia delle intercettazioni, si intuì subito che eravamo di fronte ad una lotta tra “bande”, nel senso di correnti all’interno della magistratura, che nel corso degli anni si sono avvicinate, anzi si sono strutturate e adeguate alle correnti politiche, in una forma che appare poco consona ai compiti che tale istituzione è chiamata svolgere.

È questo, a mio parere, uno dei difetti della Magistratura: le analogie e il cordone ombelicale con la politica, che va spezzato. Con ciò, lungi da me l’intenzione di  generalizzare, perché ci sono migliaia di magistrati che in silenzio, giornalmente ed umilmente, compiono il proprio dovere, senza essere risucchiati (o influenzati) da alcuna “corrente”.

Credibilità compromessa dei magistrati e provvedimenti contro Palamara

Sorge, legittimo, il dubbio che questi provvedimenti nei confronti di Palamara, così veloci e dirimenti, siano stati quantomeno influenzati dall’opinione pubblica e dalla gogna mediatica. Si assiste, in un certo verso, ad una dicotomia col paese reale, nel senso che se prima il nome di magistrato era sinonimo di stima, capacità, di super partes, oggi molta gente al solo pensiero del “giudice” storce la bocca, collocando erroneamente tutti i magistrati nello stesso calderone.

Ma non è questa la risposta da dare ai cittadini, per riacquistare quella immagine, quell’alea di indipendenza, quella serietà che è stata messa in discussione dal sistema Palamara (and friends). Non è questa la giusta via da seguire per riacquistare la credibilità compromessa. C’è un sistema, a parere di chi scrive, che può invece contribuire all’inversione di marcia, coadiuvando i risultati sperati: fare i processi, farli in tempi brevi e sanzionare chi non ottempera a queste indicazioni. La produttività. L’efficienza del sistema giustizia. Questa si che sarebbe una bellissima risposta a tutto. 

Una sconfitta per la Giustizia

Nel corso dei miei anni passati ad esercitare la funzione di giudice onorario presso il Tribunale di Latina, ho emesso centinaia di sentenze civili, tante delle quali erano in vita da 15 o 17 anni. Ritengo che un tale incedere sia una sconfitta per la Giustizia e per lo Stato stesso che, annualmente, viene anche condannato dall’Europa per questioni di ritardata o denegata giustizia. Sarebbe il caso di interrogarsi sul ruolo degli ispettori ministeriali che dovrebbero verificare e monitorare la situazione, e poter conoscere quanti magistrati siano stati sanzionati per non aver svolto il proprio dovere.

Riavvicinare, dunque, il magistrato al cittadino, chiedendo al primo le stesse cose che si chiedono al secondo: produttività, efficienza, svolgimento del proprio compito. 

Tutto ciò è, invece, molto lontano dalla soluzione che sembra essere stata adottata per “riabilitare” la magistratura, “sacrificando” Palamara, visto come unico male dell’intero sistema, lapidato con un processo così veloce e sommario che non rende giustizia non soltanto a lui, ma neanche alla Giustizia stessa (con la G maiuscola). Individuando in Palamara il capro espiatorio di tutti i problemi della giustizia, questi non si risolvono. È come nascondere la polvere sotto il tappeto, invece di pulire per bene la stanza. Non è più procrastinabile un intervento serio nella magistratura, iniziando magari dal divieto di poter tornare ad esercitare la funzione di magistrato, per chi abbia intrapreso la strada della politica, magari facendo il parlamentare, per poi tornare alla base alla fine del mandato.

La porta girevole di Flick

È interessante evocare la definizione fornita dall’ex ministro di Grazia e Giustizia, prof. Flick, che ha parlato di “una porta girevole”, riferendosi al fatto che taluni magistrati, non per particolari elementi distintivi (nel senso di capacità e laboriosità nel proprio lavoro) ma solo per essere titolari di inchieste particolari e di rilevanza nazionale (per lo più scandali di interesse mediatico), vengono subito cooptati dai politici con offerte di seggi parlamentari sicuri. Alla fine del mandato ritornano a fare i magistrati. Ecco la porta girevole di Flick.

Un altro elemento da valutare, ormai ridondante nelle varie proposte di riforma, è quello di definire ruoli precisi e chiari, non intercambiabili, tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti (la famosa “separazione delle carriere”).

E, infine, mi sento di ripetere, per quanto ritengo determinante l’argomento, va definito un piano per svolgere e concludere i processi in due o tre anni, con un sistema di controllo efficiente e anche sanzionatorio. L’auspicio è che il caso Palamara serva ad affrontare l’argomento di riforma una volta per tutte, in modo serio, profondo e risolutivo. Dunque, abbasso Palamara o Viva Palamara?

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