La mobilitazione dello scorso 16 dicembre? Non ha sortito alcun effetto e per questo i medici italiani hanno deciso di scioperare ancora. Lo faranno i prossimi 17 e 18 marzo, su sollecitazione di tutte le sigle sindacali del settore che hanno espresso parere unanime sulla necessità di tornare a farsi sentire. Perché? I motivi sono molteplici: si va dall’insofferenza per i tagli alle prestazioni sanitarie annunciati dal Governo al mancato rinnovo del contratto nazionale fermo da 7 anni, passando per la salvaguardia del diritto alla salute che, secondo i camici bianchi e i sindacati, non viene garantito a tutti allo stesso modo.
A farsi portavoce di tanto malcontento è stato il segretario di Anaao-Assomed (Associazione medici e dirigenti del Servizio sanitario nazionale) Costantino Troise: “Le questioni che abbiamo posto al Governo a dicembre, come il nodo della sostenibilità economica della Sanità pubblica, il ruolo professionale dei medici e la garanzia del diritto di cura ai cittadini – ha detto – sono rimaste tutte sul tappeto e non vi è stata alcuna interlocuzione. Noi siamo sempre più convinti che c’è il rischio concreto di un tracollo della sanità pubblica e insieme del ruolo e del valore del nostro lavoro. Pensiamo siano cose che interessino i cittadini, non solo la nostra categoria. Il diritto alla salute e ad avere servizi omogenei in tutte le regioni – ha rincarato Troise – sono fortemente a rischio con questa visione solo ragionieristica della sanità pubblica, a vantaggio di quella privata”. Di più: “Le annunciate assunzioni non ci sono ancora state – ha denunciato il segretario di Anaao-Assomed – mentre ciò che c’è di concreto sono i tagli della legge di Stabilità e l’assenza di un progetto complessivo per la Sanità pubblica”.
Dello stesso parere le sigle sindacali alle quali appare ormai improcrastinabile l’esigenza di riqualificare l’intero sistema sanitario pubblico a partire dalle strutture ospedaliere e dal lavoro medico. Poiché in ballo – hanno rimarcato i sindacati – c’è il diritto alla salute che deve essere garantito a tutti (senza alcuna distinzione geografica o sociale) evitando che i malati (specialmente i più gravi) si vedano costretti a rivolgersi ai privati per curarsi.
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