<span style="font-family:verdana,geneva,sans-serif;"><span style="font-size: 14px;"><span style="color: rgb(0, 0, 0);"><strong><img style="display: none" class=" alignleft size-full wp-image-4220" alt="" src="https://www.biancolavoro.it/wp-content/uploads/2014/01/mouse.jpg" style="width: 160px; height: 100px; margin: 3px; float: left;" width="600" height="375" />Professione giornalista, a che punto siamo?</strong> Sicuramente, è nell'ormai non più nuova frontiera del web che risiede il futuro (oltre che il presente) <strong>dei professionisti dell’informazione</strong> (ai quali è dedicato il nostro speciale), che dal primo gennaio di quest’anno sono chiamati ad affrontare la cosiddetta <strong>formazione obbligatoria</strong>, vale a dire corsi ed altre attività ad hoc non derogabili, né tantomeno evitabili. Il concetto di <strong>formazione obbligatoria (e permanente) </strong>è stato fortemente voluto dall’Unione Europea e, nemmeno tanto lentamente, sta entrando a far parte della vita di molti lavoratori, tra cui, appunto, i giornalisti. Questi ultimi, a causa (qualcuno direbbe per merito) delle nuove tecnologie, hanno subìto e per qualche anno ancora subiranno, una vera e propria rivoluzione della professione. Non la stanno però solo subendo, ne sono anche i protagonisti assoluti.</span></span></span>
Cosa sta cambiando? A parte le regole per ottenere un tesserino, a parte l’ovvia quanto necessaria conoscenza della lingua italiana, ed a parte qualche altro piccolo particolare, tutto. Le tecniche, oltre che le tecnologie, gli strumenti, le fonti, i modi con i quali diffondere le notizie, i problemi sul diritto d’autore, le stesse competenze da acquisire ed addirittura la sede di lavoro (per chi lavora sul web, spesso è casa propria). Di tutto questo, nonché dei fondamentali lati economici, cercheremo di dar conto in uno speciale in uscita da domani su Bianco Lavoro Magazine, appositamente pensato per fornire informazioni di natura prevalentemente pratica a chi ha deciso o deciderà in un prossimo futuro di avvicinarsi al duro mestiere del giornalista, il “cane da guardia” del potere.
C’è da fare una precisazione, molto importante. I cambiamenti sopracitati sono perlopiù di natura evolutiva, o addirittura vere e proprie aggiunte alle competenze pregresse. Senza alcun dubbio, il mestiere del giornalista 2.0 rivela ogni santo giorno grandi differenze da quello del professionista della carta stampata. Non è però un altro mestiere. Un giornalista rimane quello che è, un professionista con una fondamentale funzione pubblica, anche se usa una tastiera al posto della penna e deve essere in grado di far funzionare al meglio una fotocamera digitale, o saper accendere la funzione video del suo cellulare nel giro di due-tre secondi, per non farsi scappare un particolare episodio di una qualunque manifestazione. Deve saper fare tutto questo, ma non può non avere il “leggendario“ fiuto per la notizia, non può non avere la capacità di analisi, non può non essere perfettamente informato sull’argomento che sta trattando.
La nascita delle testate web ha di fatto azzerato o quasi le barriere all’ingresso. Chiunque ora, almeno in via potenziale, può collaborare con un qualsiasi giornale online per due anni e diventare giornalista pubblicista. Questo, da una parte genera maggiori possibilità per le persone di talento, ma dall’altra il rischio è quello che nel mercato entrino persone che con il giornalismo hanno poco a che fare, per le ragioni più svariate. Nel nostro speciale cercheremo di sviscerare anche questo aspetto, provando a fornire delle risposte opinabili ma informate, e portando all’attenzione del lettore esperienze e casi concreti.
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