Con una disoccupazione giovanile che ha sforato il 40% (più del doppio rispetto ai livelli ante-2007), il 2014 si candida ad essere l’ennesimo anno di difficoltà e di sacrifici per milioni di italiani alle prese con le criticità quotidiane. E, mentre il sogno di un lavoro sembra riguardare le notti della maggioranza della platea di …
Con una disoccupazione giovanile che ha sforato il 40% (più del doppio rispetto ai livelli ante-2007), il 2014 si candida ad essere l’ennesimo anno di difficoltà e di sacrifici per milioni di italiani alle prese con le criticità quotidiane. E, mentre il sogno di un lavoro sembra riguardare le notti della maggioranza della platea di connazionali, c’è chi – McKinsey – punta ad andare in profondità, e osservare perché, in Italia, trovare lavoro è davvero così arduo.
Il punto di partenza è piuttosto critico e, per certi versi, altresì provocatorio: il 47% dei datori di lavoro italiani, afferma infatti la società di consulenza, non riesce a trovare i dipendenti “giusti” poiché mancherebbero le idonee competenze, con una percentuale tricolore che è tra le peggiori del vecchio Continente. In differenti termini, in Italia mancherebbe la giusta attenzione nei confronti delle specificità e delle singole competenze, e sempre più settori lamentano di non riuscire a individuare le giuste professionalità da parte di neolaureati e neodiplomati. La domanda e l’offerta nel mercato del lavoro sono sempre più distanti, e pochi enti o istituzioni cercano di avvicinare tale divergenza, contrariamente a quanto avviene nel resto d’Europa.
Il “male” non è, comunque, solo italiano. Secondo quanto afferma la stessa McKinsey, con dichiarazioni riportate anche sul Corriere della Sera, è l’Unione Europea ad avere “il più alto tasso di disoccupazione ovunque nel mondo, a parte il Medio Oriente e il Nord Africa”. Non solo: “in Italia, Grecia, Portogallo e Regno Unito sempre più studenti stanno scegliendo corsi di studio collegati alla manifattura, alla lavorazione, nonostante il brusco calo nella domanda in questi settori. E in generale, non è una cosa positiva vedere un ampio numero di giovani scommettere il loro futuro su industrie in decadenza” – prosegue McKinsey – “Ci sono abbinamenti sbagliati, educatori e imprenditori non stanno comunicando fra loro”.
Se quanto sopra è vero per tutta la macro area, in Italia lo scenario assume delle connotazioni perfino peggiori. I datori di lavoro e i fornitori di istruzione hanno infatti delle percezioni estremamente differenti, con il 72% degli educatori che ritiene che i giovani abbiano le attitudini di cui avranno bisogno alla fine del loro percorso di studi, e il 42% degli imprenditori che concorda con quanto sopra.
Ancora, solamente il 41% dei datori di lavoro afferma di comunicare con i dirigenti delle scuole, mentre è del 21% la quota di coloro che considerano “effettiva” tale comunicazione. Ad ogni modo, non basta avvicinare imprenditori e scuole per poter migliorare la condizione occupazionale dei più giovani. Il gap è infatti molto più ampio e vario di quanto si possa ritenere, con gli imprenditori che sottolineano come solamente il 23% degli aspiranti candidati conosca sufficientemente bene l’inglese (e ancora meno, il 18%, ha conoscenze informatiche idonee).
E i giovani? La popolazione dei “nuovi lavoratori” è sempre più sfiduciata, e solamente il 46% del campione esaminato da McKinsey afferma di aver trovato un’occupazione al termine di uno stage. In Italia, infine, la percentuale di giovani che non hanno frequentato l’università per ragioni economiche è tra le più alte d’Europa.
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