Le porte della grande Cina per lui si sono aperte in un’età in cui solitamente il periodo degli stage è già passato da un pezzo. Coraggio a piene mani, mente straordinariamente aperta e obiettivi ben precisi all’orizzonte, Marco, che di mestiere fa il giornalista (collabora con il toscano Il Tirreno), si getta senza se e senza ma in un mondo completamente nuovo, con il quale, spiega, “ogni giorno di più dobbiamo fare i conti”. Un’esperienza tanto bella quanto faticosa, premiata con la soddisfazione di vedere il lavoro compiuto finire nientemeno che sulla Tv di Stato cinese (CCTV). Ecco la sua appassionata testimonianza, ricca di utilissimi dettagli(leggi anche l’intervista a Umberto Botto). Marco Cacci ha avuto un percorso un po’ particolare.
Perché uno stage proprio in Cina e non, ad esempio in Inghilterra o negli Usa. Cosa ha stimolato il tuo interesse verso un Paese così lontano da noi, non solo geograficamente?
Tra i tanti progetti formativi che c’erano in giro ho trovato che quello dello stage in Cina potesse aprirmi nuove porte verso un mercato con cui ogni giorno di più dobbiamo fare i conti. Visto che all’epoca non avevo un lavoro, avevo deciso di acquisire nuove competenze. L’Inghilterra è estremamente inflazionata, al punto che il premier Cameron è sotto tiro da parte dell’UE per politiche restrittive sui diritti degli immigrati appartenenti all’’Unione Europea, e gli Stati Uniti, ma non vorrei apparire venale, costavano il doppio. Così ho deciso di investire sulla Cina, diciamo nel periodo più prossimo al sorpasso economico sugli States, cosa che le garantirà lo status di prima potenza economica globale.
Che tipo di lavoro hai fatto?
Ho lavorato in un’azienda di piccole dimensioni che ha l’esclusiva sull’importazione di formati tv internazionali da parte della Cctv, la televisione di Stato cinese. Seguivo con una collega cinese le varie fasi che portano alla collocazione di un formato televisivo sul mercato cinese, ovvero: valutazione tra più prodotti di quelli più congegnali al mercato cinese, presentazione dei prodotti ai responsabili interni della Cctv. Se il parere era favorevole si prendeva contatto con i detentori dei diritti del formato televisivo, che venivano invitati a Pechino, per colloqui diretti e una loro presentazione, tenendo presente che il prodotto deve essere modificato secondo le esigenze del mercato cinese, senza escludere i vari meccanismi di censura che avrebbero potuto portare a un fallimento di un’operazione a metà del guado. E qui mi sono fermato perché lo stage è terminato. In ogni caso, ho lavorato a pieno titolo come project manager, dato che quando sono andato in Cina, non essendo più giovanissimo, 33 anni all’epoca, 34 compiuti durante lo stage, avevo già una decina di anni di esperienza di lavoro alle spalle come giornalista, di cui 3 come redattore. Ho saputo poi che alcuni dei programmi che avevo scelto io sono andati in onda in Cina, e sono rimasto contento, perché devo dire che i tempi per le pratiche di valutazione che un prodotto televisivo deve attraversare vanno da un minimo di tre mesi a un massimo di 3 anni.
L’hai trovato con CRCC Asia o autonomamente? E nel caso, come hai fatto?
E’ stata CRCC Asia ad aiutarmi a trovare il lavoro. Sono ben radicati sia a Pechino che in altre città della Cina, come Shangaj: per questo non ho avuto grosse difficoltà ed ho potuto concordare con loro, fino ad un certo punto, la collocazione nel settore di mia preferenza.
L’esperienza che stai vivendo è sicuramente molto utile non solo a livello di Cv, ma anche a livello formativo e probabilmente umano. A parte l’utilità, come altro la definiresti e perché.
Inutile negare che la Cina sia un mondo a parte. O lo ami o lo odi: c’è da fare i conti con un iniziale cambio di mentalità che non per tutti è facile. I cinesi sono abbastanza cinici, mi riferisco alla visione che hanno della vita. La cosa che mi ha colpito maggiormente è che nonostante il mito del partito unico, che non è da sfatare, ho notato che la maggior parte dei cinesi ha fiducia nel proprio governo. Se si prova a seguire la politica, per quel che trapela, ci possiamo accorgere che le correnti interne sono tantissime. Altro aspetto interessante, è che non importa che la maggior parte delle notizie finiscano sui media per conoscerle. Aggirare la censura anche per un cinese è estremamente semplice. Chi ha un computer (soprattutto i giovani) è in grado di essere sempre aggiornato. Questo porterà sicuramente dei cambiamenti nella politica cinese nel medio termine.
Quali sono state le maggiori difficoltà riscontrate? E Quanto conta il modo di vivere dei cinesi rispetto ad un inserimento lavorativo “da italiano”?
Sicuramente è difficile abituarsi al cibo, che niente ha a che vedere con quello che puoi trovare in un ristorante cinese in Italia. In Cina non c’è il problema che puoi riscontrare in occidente, sempre che tu non lavori con occidentali. Ovvero che un italiano deve lavorare il doppio per sfatare il mito dello scansafatiche. I cinesi sono lontani da certe distinzioni: semplicemente o sei buono a lavorare o non lo sei.
I cinesi come vedono gli italiani? Ti sei accorto dell’esistenza di un qualche convinzione o pregiudizio in grado di influenzare i rapporti lavorativi?
Mi sono trovato bene. I colleghi di lavoro sono stati fin da subito cordiali e disponibili. I cinesi ci adorano. Amano tutto dell’Italia. Anche per questo ho evitato di parlare loro di situazioni di emarginazione che spesso loro vivono in Italia a causa dei luoghi comuni dei nostri connazionali.
E’ sufficiente conoscere bene l’inglese o è necessario anche il cinese per potersela cavare egregiamente? In che lingua si comunica abitualmente al lavoro?
E’ necessario conoscere molto bene l’inglese anche per fare solamente lo stage, e per rimanere a lavorare in Cina bisogna imparare abbastanza bene il cinese nel più breve tempo possibile. Non è facile. Il cinese scritto è composto da circa 20mila ideogrammi. Per un mese ho affiancato al lavoro le lezioni di cinese (comprese nel pacchetto di CRCC Asia), e devo dire che è una lingua molto difficile. In ufficio c’erano altri stagisti, conoscevamo poco il cinese per cui veniva esclusivamente parlato inglese. Potevo praticare la loro lingua solo nelle poche ore di tempo libero che mi restavano tutti i giorni: al supermercato, al ristorante, in una discoteca con gli amici.
Se trovassi una buona occasione ritorneresti in Cina a lavorare a tempo indeterminato?
Premetto che in Cina c’è un elevato tasso di inquinamento: in ciò che mangi, bevi e respiri. Non posso negare che una lunga esposizione comporti dei rischi. Ma nonostante questo ci tornerei al volo.
Consiglieresti a chiunque un’esperienza di questo tipo, o sarebbe meglio una sorta di selezione all’ingresso, basata su un reale interesse del soggetto che aspira allo stage?
CRCC Asia fa una selezione basata esclusivamente sulla conoscenza dell’inglese. E’ giusto che ci siano organizzazioni che danno questa possibilità di fare esperienza senza troppe preclusioni. E alcuni, là, ricevono anche un’offerta di lavoro. Certo, se si dispone di una somma più ingente per curare la propria formazione, e si ha la giusta preparazione, ci sono altre soluzioni per entrare in contatto con il mercato del lavoro cinese. Sto pensando a master di eccellenza come quello dell’università di Stanford a Honk Kong. Purtroppo per me, che per motivi di salute non mi sono potuto laureare e appartengo alla vecchia scuola di formazione, ovvero “lavori=sai”, per dirla con una formula di sicuro effetto, opzioni del genere erano impraticabili.
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