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Speciale stage in Cina: intervista a Umberto Botto

Per lo speciale stage in Cina, abbiamo intervistato Umberto Botto, studente universitario veneziano con le idee piuttosto chiare, partito armi e bagagli per Shanghai. Catapultato in una specie di universo parallelo e poco conosciuto ai più, al posto di affrontare la difficile esperienza con un forse più normale timore reverenziale, reagisce esattamente al contrario, gettandosi …

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Per lo speciale stage in Cina, abbiamo intervistato Umberto Botto, studente universitario veneziano con le idee piuttosto chiare, partito armi e bagagli per Shanghai. Catapultato in una specie di universo parallelo e poco conosciuto ai più, al posto di affrontare la difficile esperienza con un forse più normale timore reverenziale, reagisce esattamente al contrario, gettandosi a capofitto in quell’universo e cercando di trarne il maggior numero di vantaggi. Definisce Shanghai una città in cui “in ogni angolo un business nasce, uno si allarga. Tutto spinto dalla voglia di fare che hanno le persone”. Per lui, la Cina è la nuova frontiera del lavoro, “uno dei punti sicuri” del suo futuro. Ecco come ha risposto alle nostre domande.(leggi anche l’intervista a Marco Cacci)

Perché uno stage proprio in Cina e non, ad esempio in Inghilterra o negli Usa. Cosa ha stimolato il tuo interesse verso un Paese così lontano da noi, non solo geograficamente?

Per me, studente di International Management, la Cina rappresenta uno tra i punti sicuri del mio futuro, professionale ma non solo. Ho quindi deciso di provare un primo assaggio di quel mondo, dopo aver già sperimentato durante la triennale il mondo universitario anglosassone.

Cosa intendi di preciso per  “velocità con cui tutto si muove”?  Che cosa, in specifico, va più veloce rispetto all’Italia (o all’Europa) e secondo te,  perché è così?

A Shanghai, esci di casa la mattina e hai a disposizione un sacco di opportunità che ti aspettano. In ogni angolo un business nasce, uno si allarga. Tutto spinto dalla voglia di fare che hanno le persone, che non hanno altro obiettivo in mente se non quello di crescere, migliorare, raggiungerci immagino, in termini di condizioni, di stile di vita. Questa spinta si estende ad ogni campo, dall’edilizia alle attività culturali e no profit, passando ovviamente per i business tradizionali.

L’esperienza che stai vivendo è sicuramente molto utile non solo a livello di Cv, ma anche a livello formativo e probabilmente umano.  A parte l’utilità, come altro la definiresti e perché.

Una figata! Vivere in Cina ora è come vivere in USA durante il grande boom economico di 50 anni fa. Si cresce ogni giorno, anche solamente stando fuori tra la gente e imparando a vivere un mondo così diverso e così frenetico.

Se trovassi una buona occasione, accetteresti di rimanere in Cina a lavorare a tempo indeterminato?

Credo di non essere ancora pronto a vivere e lavorare facendo base in Cina; credo sia importante per me ora entrare nel mondo del lavoro qui, in Occidente dove posso imparare i concetti più importanti ed essenziali e presto, chissà, spostarmi lì perché no? Insomma tornare in Cina con una precedente esperienza lavorativa credo sia la cosa migliore.

Quali sono state le maggiori difficoltà riscontrate?  E quanto conta il modo di vivere dei cinesi rispetto ad un inserimento lavorativo “da italiano”?

Rimanendo nell’ambito lavorativo, devo ammettere di non aver riscontrato molte difficoltà, probabilmente visto l’ottimo placement che ho trovato. Il resto dello staff, tutto composto da ragazzi originari di Shanghai, è stato dal primo giorno molto “caldo” nei miei confronti e in un certo senso già abituato a trattare con esterni. Sicuramente questo ha facilitato le cose; il loro modo di lavorare non mi è sembrato troppo diverso dal nostro e, anzi, ci accumuna la stessa caparbietà e voglia di fare.

I cinesi come vedono gli italiani? Ti sei accorto dell’esistenza di una qualche convinzione o pregiudizio in grado di influenzare (nel bene o nel male) i rapporti lavorativi?

Certo, i pregiudizi esistono e quelli che mi hanno esternato sono tutti positivissimi! Ammirano il nostro stile di vita, il nostro gusto, la nostra cucina e la Nostra Terra. Alcuni di loro avevano trascorso un periodo di vacanza in Italia e mi parlavano spesso delle loro ottime impressioni. Sicuramente poi si è discusso anche di politica e altri problemi del Nostro Paese, ma andiamo avanti….

E’ sufficiente conoscere bene l’inglese, o è necessario anche il cinese per potersela cavare egregiamente? In che lingua si comunica abitualmente al lavoro?

Al lavoro l’inglese è stato sufficiente, sempre. Trattavo con gente laureata e che parlava un inglese al mio livello (alto). In città invece, tralasciando ristoranti o shops di un certo livello, è utile sapere comunicare in cinese, poiché molti locali hanno un livello d’istruzione inferiore. Spesso ho dovuto ricorrere ad un preziosissimo numero di telefono speciale che, tramite un’operatore bilingue inglese-cinese, mi ha permesso di ordinare un pasto nei ristoranti più tradizionali di shanghai, lasciando che operatore e ristoratore parlassero tra loro in cinese.

Consiglieresti a chiunque un’esperienza di questo tipo, o sarebbe meglio una sorta di selezione all’ingresso, basata su un reale interesse del soggetto che aspira allo stage?

Sicuramente spostarsi dall’altro lato del mondo, soprattutto “quel” lato, anche se per un breve periodo, non è una soluzione che molti di noi prendono ancora in considerazione (purtroppo!). Nel mio caso, una selezione tra i canditati c’è comunque stata ed è necessaria. Non è stato facilissimo adattarsi e immergersi alla cultura, l’ambiente e il ritmo di un paese così diverso da noi!

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