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Stranieri che lavorano in Italia: i vari permessi di soggiorno

Chi ha la fortuna di trovare un impiego, deve regolarizzare la sua posizione. Ci sono dei costi da sostenere, ma anche dei diritti di cui poter beneficiare

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Il volto delle nostre città ha iniziato un graduale (e crescente) processo di cambiamento. La presenza degli stranieri ha contribuito a “svecchiare” una popolazione segnata da tassi di natività bassissimi. E ha portato anche i più riottosi ad aprire una finestra su Paesi del mondo che, fino a non molto tempo fa, faticavano a trovare sulla cartina geografica. La strada per l’integrazione è lunga e tortuosa, ma se la percentuale di stranieri che lavorano regolarmente in Italia continuerà a crescere potrebbe fare da viatico a una “convivenza” più equilibrata. Lasciando da parte il doloroso capitolo che riguarda i tanti (troppi) stranieri costretti a lavorare in condizioni di moderna schiavitù, cerchiamo invece di capire quali sono i permessi di soggiorno che gli stessi stranieri possono richiedere, quando trovano un impiego in Italia. Quanto durano? Quali diritti garantiscono? E quali sono i costi da sostenere?

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Esistono tre tipi di permessi di soggiorno per motivi di lavoro: il permesso per lavoro subordinato, quello per lavoro stagionale (annuale o pluriennale) e quello per lavoro autonomo.

#1. Permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Viene rilasciato dalla Questura e ha una durata equivalente a quella del rapporto di lavoro. Entro certi limiti, però. Per essere più precisi: la durata del permesso non può andare al di là di un anno, se si parla di contratto di lavoro a tempo determinato; mentre in caso di contratto a tempo indeterminato, può raggiungere i due anni. E dopo? Gli stranieri che continuano a risiedere e lavorare regolarmente nel nostro Paese possono chiedere di rinnovarlo.

#2. Permesso di soggiorno per lavoro stagionale. E’ il permesso che riguarda specificamente gli stranieri che svolgono lavori stagionali nei settori dell’agricoltura o del turismo. Anche questo permesso viene rilasciato dalla Questura e ha una durata che va da un minimo di 20 giorni a un massimo di 9 mesi. Non è rinnovabile. Al permesso di soggiorno ordinario si aggiunge anche quello pluriennale, che può essere rilasciato per un arco di tempo massimo di 3 anni.

#3. Permesso di soggiorno per lavoro autonomo. E’ il permesso che devono ottenere gli stranieri che vogliono avviare una qualsiasi attività imprenditoriale autonoma in Italia, senza stare alle dipendenze di alcuno. Anche questo permesso viene rilasciato dalla Questura ed ha una durata massima di 2 anni. Può essere rinnovato.

Il permesso di soggiorno per lavoro subordinato

La tipologia più diffusa è ovviamente quella del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, incardinato su un vincolo contrattuale che chiama in causa anche il datore di lavoro. Che, dal canto suo, deve:

  • presentare allo Sportello Unico per l’Immigrazione la richiesta di nulla osta al lavoro
  • compilare il modello Unificato Lav presso l’Inps

Non solo: quando il datore di lavoro fa firmare il contratto al dipendente straniero, si impegna a garantirgli un alloggio di edilizia residenziale pubblica, se rientra nei parametri minimi previsti dalla legge. E si impegna a sobbarcarsi delle spese per il viaggio di ritorno nel Paese di origine. Oltre, ovviamente, a garantire il rispetto del regolare trattamento retributivo ed assicurativo.

Ma quali sono i costi che i lavoratori stranieri devono sostenere per ottenere questo tipo di permesso? Ci sono 16 euro di marca da bollo, 30 euro per le spese di spedizione e 27,50 euro per il rilascio dei titoli di soggiorno in formato elettronico. Tutto qui? Non proprio: gli stranieri che si apprestano a firmare un contratto per lavoro subordinato devono versare anche un contributo (extra) di 80 euro (per un permesso di 1 anno) o di 100 euro (per un premesso di 2 anni). A conti fatti, dunque, questi stranieri possono arrivare a spendere fino a 173,50 euro.

Per ottenere cosa? Gli stranieri che lavorano in Italia con un contratto per lavoro subordinato in tasca possono:

  • richiedere il ricongiungimento familiare per il coniuge, i figli minori e quelli maggiorenni (se invalidi totali) e i genitori a carico;
  • iscriversi gratuitamente al Servizio Sanitario nazionale;
  • beneficiare degli interventi di assistenza sociale.

Il permesso di soggiorno per lavoro autonomo

Per ottenere questo tipo di permesso, la procedura è un po’ più laboriosa. Perché lo straniero che vuole entrare in Italia per avviare una sua attività deve:

  • attestarne la regolare iscrizione alla Camera di Commercio o ad organi simili;
  • dimostrare la disponibilità di un alloggio (che nessun superiore, in questo caso, può garantirgli)
  • dimostrare la sussistenza di un reddito sufficiente a risiedere nel Paese ospitante.

Anche in questo caso, gli stranieri devono sobbarcarsi dei costi che (esattamente come nel caso del lavoro subordinato) prevedono una spesa di 16 euro, una di 30 e un’altra di 27,50 euro. A cui deve aggiungersi l’importo del contributo extra che può andare da un minimo di 80 a un massimo di 200 euro. In questo, caso, dunque, la spesa totale può raggiungere i 273,50 euro.

I diritti di cui gli stranieri entrati in Italia per avviare una loro attività autonoma possono godere sono speculari a quelli che riguardano i loro “colleghi” subordinati. Fatta eccezione per un’unica ulteriore “concessione”. Essi possono infatti:

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  • svolgere, in contemporanea, anche un’attività lavorativa subordinata;
  • richiedere il ricongiungimento familiare;
  • iscriversi gratuitamente al Servizio Sanitario nazionale
  • beneficiare degli interventi di assistenza sociale.
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