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Viaggi di lavoro: sono calati del 15% in un anno. Ma è sempre un male?

Spostarsi per lavoro può essere stressante: lo certifica uno studio che ha interpellato professionisti sfiancati dal “jet lag”. E non solo

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L’Istat ha aggiornato le tabelle che riguardano i viaggi di lavoro degli italiani rivelando che, dal 2014 al 2015, sono calati del 15,1%. E’ un dato destinato a far riflettere. E non solo perché conferma la tendenza delle aziende a razionalizzare sempre più le voci di spesa (per via dell’imperitura crisi). I pareri sui viaggi di lavoro sono contrastanti: c’è chi li considera ghiotte opportunità di crescita professionale e chi li derubrica a semplici occasioni di stress. La verità sta – come sempre – nel mezzo: concedere ai propri dipendenti di partecipare a delle episodiche trasferte può fare la differenza (in termini di gratificazione e di produttività), ma imporre di trascorrere più tempo sugli aerei che in ufficio può rivelarsi deleterio.

Viaggiare fa bene o fa male?

Partiamo dai dati dell’Istat che, come già accennato, certificano un calo del 15,1% dei viaggi di lavoro degli italiani. Per essere più precisi: si è passati dagli 8,112 milioni di trasferte registrate nel 2014 ai 6,894 milioni di spostamenti dello scorso anno. A farne le spese sono state soprattutto le fiere e le esposizioni: la partecipazione dei lavoratori, nel 2015, è calata del 62,5%, ma anche i corsi di aggiornamento hanno subito una significativa flessione (-61,5%). Mentre più contenuto (ma comunque importante) si è rivelato il calo che ha riguardato la partecipazione a conferenze e convegni (-43,9%). Facile intuire che, alla base di questa drastica riduzione delle trasferte, ci sia stata la necessita (per molte aziende) di contenere i costi. E di ridurre allo stretto necessario gli spostamenti dei loro dipendenti.

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Ma viaggiare per lavoro fa sempre bene? In molti sostengono, con convinzione, l’importanza strategica dei viaggi di lavoro: la possibilità di spostarsi periodicamente per partecipare a meeting od eventi che permettono di crescere professionalmente spingerebbe (secondo alcuni) più di un candidato a preferire un’offerta ad un’altra. E se è pressoché indubbio che i viaggi di lavoro possono accrescere la gratificazione (e dunque la produttività) dei dipendenti e rafforzare la coesione e l’intesa tra colleghi che staccano i biglietti insieme; è altrettanto vero che essi possono, però, generare stress ed affaticamento.

A scrutare questa faccia del fenomeno è stato uno studio realizzato, nella scorsa primavera, da Booking.com (gruppo leader nella prenotazione di viaggi e alloggi online). Che ha intervistato 4.500 uomini di affari, di 8 Paesi diversi, abituati a salire su treni e aerei per lavoro. La ricerca ha rilevato che, per il 93% del campione, la pianificazione e l’organizzazione del viaggio di lavoro può essere motivo di stress. E che effettuare una trasferta di questo tipo può voler dire “incappare” in qualche sgradevole inconveniente. Più nel dettaglio: il 47% degli intervistati ha dichiarato di aver sviluppato una vera e propria idiosincrasia per i ritardi o le cancellazioni delle partenze, il 35% ha puntato il dito contro il “jet lag” (parliamo, ovviamente, di professionisti abituati a viaggiare da un Paese all’altro) e il 34% ha dimostrato forte insofferenza per le code ai controlli. Ma c’è stato anche un altro 34% del campione che ha confessato di non amare troppo questi tipi di viaggi che costringono a stare lontani da amici e parenti.

Quando viaggiare per lavoro genera stress

E veniamo alle principali cause di stress nei viaggi di lavoro: i business men interpellati da Booking.com hanno indicato al primo posto (con il 36% delle preferenze) la possibilità di perdere il volo o il treno; il 26% ha fatto, invece, riferimento alle barriere linguistiche (che possono effettivamente creare non pochi problemi) e il 25% ha parlato del rischio di perdere il bagaglio (che può trasformare il viaggio in una bella “seccatura”). Ancora: il 24% ha indicato come principale causa di stress la perdita di documenti importanti (personali e/o di lavoro) e il 20% la possibilità di arrivare in un ambiente ostile. C’è poi il 17% che ha parlato della difficoltà di gestire eventuali differenze culturali e il 15% che ha manifestato il timore di perdere un dispositivo aziendale (pc o cellulare). Mentre un altro 15% ha detto che i viaggi di lavoro possono rivelarsi altamente stressanti perché costringono a presentare iniziative e progetti a persone che si incontrano per la prima volta.

Ogni dirigente di azienda dovrebbe valutare i pro e i contro della faccenda. Come qualsiasi altro “strumento” a sua disposizione, anche il viaggio di lavoro andrebbe, infatti, utilizzato con criterio. E proposto alle risorse giuste: quelle che dimostrano di avere, oltre alle necessarie competenze tecniche e professionali, anche spiccate capacità organizzative e di problem-solving. Perché i viaggi di lavoro – che possono concedere grandi soddisfazioni e spianare la strada a promettenti carriere – possono trasformarsi in vere e proprie “odissee”. Dalle quali solo i più navigati riescono a tornare illesi.

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