Sul volere e la volontà, nel complesso delle accezioni, la letteratura si è interrogata, a partire dalle origini della storia. Volere qualcosa è un problema umano e antico, la cui origine risale agli inizi delle prime costituzioni civili. Il sanscrito: “काम्”, “kām”, “volere, desiderare”, ricorda la vicinanza storica e geografica dell’etimo con l’inglese: “come”, “venire, addivenire”. Infatti, da un luogo, nel particolare, l’umanità occidentale e orientale ha tratto la comune generazione, ben prima dei successivi spostamenti e popolamenti di altri territori, dalla culla del medio-oriente ogni linguaggio scritto ricorda gli albori dell’umanità.
La volontà di volere qualcosa
Ogni persona è, a proprio modo, legata biologicamente a ciascuna d’altra, per via della comune origine della specie umana: è come se tutte le persone fossero cugine tra di loro. Se, a esempio di ciò, ci si riferisse a un ipotetico albero genealogico e lo si facesse progredire, nella sua crescita, fino ai tempi più lontani, ci si renderebbe conto di quante associazioni genetiche ognuno abbia con ogni altro: queste sono davvero molte.
Sebbene, viene allo scoperto, ancora nel presente, una forte percezione di malcontento e un’altra, altrettanto importante, di forte volontà di avere qualcosa. Come in una pellicola cinematografica italiana degli anni ’50 del secolo XX, si è, a lungo, corredata e accompagnata la propria vita con molti contorni oggettuali – materiali di valore; totem affettivi; simboli di credibilità, come il denaro stesso – rischiando, continuativamente, l’affievolimento del contatto con la realtà e con la propria intimità. Michel Foucault, sociologo, storico e filosofo francese, prima della morte, avvenuta nel 1984, amava ricordare, negli interventi presso le università, la forte disposizione sociale, insita nell’umanità, a volere avere qualcosa a ogni costo, per ciò che egli chiamava, sociologicamente: “quarto potere” della collettività. Una disposizione inconsapevole delle persone, nel non rendersi completamente conto delle proprie azioni, come delle conseguenze future da queste generanti. L’inconscio collettivo, spiegato dal filosofo francese, presente e assente nel quadro della razionalità sociale, come tassello di un puzzle impossibile da reperire per concludere qualsiasi ricerca. Un’arma a doppio taglio delle volontà comuni: volere qualcosa.
Antropologia dell’azione: cambiare gli obiettivi
Dipendentemente dalla storia e dalla lucidità del pensiero osservativo, a chiunque sfuggirà sempre qualcosa, nessuno potrà avere mai quello che immagina di volere e non esiste la soddisfazione eterna. In un tempo di profonda solitudine sociale e di malessere psicologico, si avverte la necessità di cambiare l’obiettivo degli intimi desideri. Nel gioco delle volontà, per dimostrare qualcosa a qualcuno d’altro, come asserirebbe Erich Fromm, alla fine, non è presente nessuno a vedere, realmente, quello che si possiede, né vi sono complimenti per quello che si è, se non si è, da soli, i primi a farsi i complimenti più sinceri verso sé stessi. Ovvero, tutto questo non sarebbe mai possibile, senza una solidarietà comune, una eticità ad avvicinare le persone tra di loro. Di modo che, questa socialità è possibile solamente cominciando dal proprio amore.
Il caso della mancanza di qualcosa, può, quindi, essere risolto dalla sola ricerca di qualcuno ed egli è la propria persona, vivente in ognuno.
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