Come noto, l’infortunio in itinere è quell’infortunio subito dal lavoratore mentre effettua uno spostamento dal proprio luogo di abitazione a quello di lavoro. Con il crescente ricorso a mezzi sostenibili come la bicicletta, il numero di infortuni in itinere sulle due ruote si è sviluppato rapidamente nel corso degli ultimi anni. Ma è sempre indennizzabile? E quando invece non lo è? Per saperne di più, non possiamo che dare uno sguardo alla recente ordinanza n. 21516/2018 da parte della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, che ha accolto il ricorso di un lavoratore che domandava il riconoscimento di un indennizzo per un infortunio occorso mentre si recava al lavoro con la propria bicicletta.
Indice
Uso necessitato della bici privata per andare a lavoro
La vicenda assume dei contorni di particolare interesse fin dalla sede d’appello, dove i giudici respingono la domanda del lavoratore affermando l’uso non necessitato del mezzo privato, pur dinanzi a caratteristiche fisiche del dipendente tali da rendere disagevole la deambulazione. Per la Corte territoriale, insomma, l’uso del mezzo privato era corrispondente ad aspettative che non potevano assumere una ribalta sociale tale da determinare un intervento solidaristico a carico della comunità, come l’indennizzo da parte dell’Inail.
La valutazione cui è giunta la Corte territoriale non trova però conforto nelle motivazioni dei giudici della Suprema Corte, che ricordano – in relazione all’infortunio per itinere – come l’assicurazione sia operante anche nelle ipotesi di fruizione del mezzo di trasporto privato, “purché necessitato”. Nella fattispecie in esame, era chiara l’insussistenza di mezzi pubblici per la copertura del tratto di strada che separava l’abitazione del dipendente infortunatosi e il luogo di lavoro.
Ulteriormente, la sentenza impugnata aveva escluso la necessità dell’uso del mezzo privato, nonostante abbia correttamente menzionato le valutazioni CTU che avevano accertato che le condizioni fisiche del dipendente avrebbero reso faticosa la deambulazione.
Il fulcro delle discordanze tra i giudici territoriali e quelli di legittimità è tuttavia soprattutto legato al concetto di uso necessitato, che per la Cassazione è legato al fatto che l’utilizzo del mezzo sia determinato da ragioni di impedimento per la percorrenza a piedi del tratto da casa a lavoro, per tali non da intendersi solamente le situazioni in cui l’impossibilità sia assoluta, quanto anche quella situazione in cui la deambulazione sia faticosa e disagevole.
Infortunio in itinere e uso della bicicletta
Con tali presupposti, i giudici della Suprema Corte richiamano quindi alla memoria il principio di diritto già formulato con la propria sentenza n. 7313/2016, per la quale l’uso della bici privata per la copertura del tratto di strada dall’abitazione al lavoro può essere permesso solamente in un canone di necessità di tipo “relativo”, che andrà a valutarsi sulla base del costume sociale, altresì per poter garantire una maggiore relazione con la comunità familiare e per poter sostenere le necessità di raggiungere in modo “riposato e disteso” il luogo di lavoro.
Rimane invece da escludersi – concludono i giudici della Suprema Corte – il rischio “elettivo”, che è da intendersi come quello estraneo e non relativo all’attività professionale, ovvero nel caso in cui la scelta sia arbitraria del lavoratore.
In sintesi, per i giudici della Corte di Cassazione è da considerarsi come in itinere l’infortunio che è occorso al dipendente che si reca al lavoro in bici, con conseguente indennizzo nel caos in cui l’uso della bicicletta era “necessitata” per mancanza di mezzi pubblici e problemi di deambulazione.
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