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Cassazione: nuovo chiarimento sulla retribuzione del tempo divisa

Nuovo importante chiarimento della Corte di Cassazione sul tempo divisa: i minuti impiegati per indossare la tuta devono essere retribuiti. Vediamo nel dettaglio il chiarimento a questo riguardo.

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Torniamo anche oggi a parlare del tempo divisa, ovvero del tempo impiegato dal dipendente per poter indossare i propri abiti da lavoro, e su cui ci siamo occupati in diverse occasioni nel corso degli ultimi mesi. L’opportunità ci è in questo caso data dalla Corte di Cassazione, che con la recentissima sentenza n. 9417/2018 ha rigettato il ricorso di una società che si era rifiutata di pagare il tempo impiegato per indossare la tuta, sostenendo che non fosse previsto nel contratto.

Tempo divisa

Con la sua pronuncia, invece, la Suprema Corte contribuisce a chiarire ulteriormente il corretto approccio nei confronti dei minuti impiegati per potersi vestire e svestire degli abiti necessari alla prestazione di lavoro (nella fattispecie: addetti alle mense), accogliendo il ricorso dei dipendenti che avevano domandato (e hanno ora ottenuto) che quel tempo fosse riconosciuto come parte integrante dell’orario retribuito.

Tempo divisa: il caso

Per comprendere quali siano stati gli approcci congruamente utilizzati dagli Ermellini per poter arrivare alla propria pronuncia, giova ricordare quale sia stata la genesi del caso, con il ricorso in Cassazione proposto da una società (tra i leader in Italia nel settore della ristorazione), che sosteneva l’errata interpretazione dei giudici di merito per non avere escluso la “sussistenza di elementi di eterodirezione datoriale”, rispetto alla vestizione, e omettendo di valorizzare in maniera corretta l’evidenza che si trattava di abiti che si erano resi necessari dall’interferire del lavoro con gli alimenti, con la conseguenza che il bisogno di indossare tali vestiti era in grado di gravare in modo diretto sul dipendente, e che questa attività di vestizione veniva attuata in un luogo (lo spogliatoio del cliente) che non era direttamente controllato dal datore di lavoro.

Dunque, per la società ricorrente, la volontà del datore stesso era irrilevante, e gli indumenti erano costituenti una “mera condizione soggettiva”, utile per la corretta proposta della prestazione di lavoro da parte del dipendente.

L’opinione della Corte

Non la pensa evidentemente in questo modo la Corte di Cassazione, che con la sua pronuncia va a rafforzare un orientamento giurisprudenziale sempre più consolidato.

In particolare, per gli Ermellini il motivo sarebbe infondato poiché l’obbligo di vestizione di alcuni specifici abiti da lavoro, che grava sul dipendente, non può escludere il datore di lavoro a porre in essere una serie di comportamenti finalizzati a verificare che l’uso sia effettivo.

Di fatti, proseguono i giudici, l’assenza per il lavoratore della libertà di scelta sui tempi e sui luoghi in cui può vestire e svestire gli abiti necessari per la propria prestazione, non consente di poter interpretare tale attività come relativa agli atti di diligenza che sono generalmente considerati come mera preparazione allo svolgimento del lavoro da parte del dipendente. Proprio per la mancanza di discrezionalità del dipendente, che non può dunque scegliere se, come e quando vestire tali abiti, il tempo che risulta essere necessario per il relativo compimento deve essere retribuito.

Gli Ermellini ricordano inoltre che la determinazione del tempo e del luogo di vestizione e svestizione della divisa di lavoro può derivare non solamente dalla disciplina adottata dall’impresa datore di lavoro, quanto anche risultare in maniera implicita dalla natura degli indumenti da indossare, o dalla specifica funzione che essi devono assolvere nello svolgimento della prestazione.

Che cos’è il tempo divisa

Protagonista del nostro odierno approfondimento, definiamo il tempo divisa (spesso chiamato anche come tempo tuta), il tempo che il lavoratore impiega per poter indossare il proprio “vestito da lavoro”, ovvero gli indumenti che è necessario che vesta per poter adempiere in sicurezza e igiene il proprio operato professionale.

Come abbiamo già anticipato in questa sede, e abbiamo avuto modo di affrontare in più occasioni nel recente passato, il tempo divisa è da considerarsi come “tempo di lavoro effettivo”, e proprio per questo motivo deve essere soggetto a regolare retribuzione.

Per quanto concerne i requisiti che renderebbero retribuibile il tempo divisa, diverse sentenze della Corte di Cassazione (dalla nota 2135/2011) ci permettono di compiere qualche gradevole chiarimento, rammentando come il tempo di vestizione e svestizione è tempo di lavoro effettivo se:

  • l’operazione viene diretta dal datore di lavoro;
  • il datore di lavoro disciplina tempi e modi di vestizione e svestizione;
  • la vestizione ha carattere necessario e obbligatorio per l’effettuazione regolare dell’attività lavorativa.

Insomma, al fine di trarre le debite conclusioni, il tempo divisa deve essere oggetto di regolare retribuzione se i tempi, i modi e i luoghi di vestizione e svestizione non sono lasciati alla libera valutazione del lavoratore, ma sono imposti in quanto eterodeterminati in seguito alla disciplina di impresa, alla natura degli indumenti o alla funzione che essi devono assolvere.

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