Giuseppe Bortolussi, il segretario della Cgia di Mestre non si è certo tirato indietro e l’ha detto chiaro: “In questi ultimi anni chi ha perso il lavoro non ha avuto alternative: per mandare avanti la famiglia ha dovuto ricorrere a piccoli lavoretti per portare a casa qualcosa”. Nel 2011 infatti, secondo gli studi effettuati dalla …
Giuseppe Bortolussi, il segretario della Cgia di Mestre non si è certo tirato indietro e l’ha detto chiaro: “In questi ultimi anni chi ha perso il lavoro non ha avuto alternative: per mandare avanti la famiglia ha dovuto ricorrere a piccoli lavoretti per portare a casa qualcosa”. Nel 2011 infatti, secondo gli studi effettuati dalla Confederazione delle imprese artigiane, la piaga del lavoro nero ha riguardato circa 3 milioni di individui. Il danno allo stato alle casse dello Stato ha superato i 43 miliardi di euro. Insomma, il fenomeno, come ha precisato lo stesso Bortolussi va indubbiamente combattuto, ma a volte è una mera questione di sopravvivenza, pur con tutti i rischi che una forma di lavoro non regolare comporta.
Chi ha perso il suo impiego (e la disoccupazione è in costante aumento) o chi ne ha uno part-time, è in cassa integrazione o ha una pensione non sufficiente a garantire i bisogni primari, per tirare la fine del mese, anche se spesso i soldi finiscono prima ugualmente, è costretto dagli eventi a rifugiarsi nel lavoro nero. Ne farebbe volentieri a meno, ma tant’è. Addirittura , ha aggiunto Bortolussi, nel Sud-Italia, l’economia sommersa è così diffusa da svolgere la funzione di “ammortizzatore sociale”. Insomma, un qualcosa che, bene o male, permette di tirare avanti. Per una madre o un padre di famiglia infatti , diventa molto difficile,per non dire impossibile, chiedersi se sia “giusto” o meno accettare un lavoro irregolare, quando la prima e ovvia necessità è quella di sfamare i propri figli, prima ancora che se stessi.
Le dichiarazioni di Bortolussi sulla piaga dei lavoratori in nero fanno il paio con quelle rilasciate un paio di giorni fa sull’infedeltà fiscale, dichiarazioni con le quali il segretario Cgia ha dato piena ragione alle parole pronunciate dal vice Ministro dell’economia Stefano Fassina. Quest’ultimo, a dire il vero un po’ a sorpresa, aveva parlato di “evasione di sopravvivenza”, vale a dire quel tipo mancato adempimento agli oneri fiscali generato da una mera impossibilità di fare il proprio dovere e non da una reale volontà di eludere le richieste del fisco. Né Bortolussi né il vice Ministro, che tra l’altro da molto tempo è impegnato nella lotta all’evasione, hanno comunque giustificato un simile comportamento, limitandosi a riconoscere l’esistenza del fenomeno.
E in effetti, più le tasse sono alte, più è difficile pagarle tutte. Se a questo ci si aggiunge una cronica mancanza di lavoro e una crescita zero che dura ormai da qualche anno, è facile intuire come chi all’improvviso si ritrova in una condizione di sofferenza, possa decidere di “evadere” parte del carico fiscale a lui destinato, non per mancanza di senso morale, ma, banalmente, per sopravvivere e per pagare gli stipendi ad eventuali dipendenti. Di certo, i macro-problemi che affliggono il Bel Paese non possono essere risolti così, ma, esistere, vivere e lavorare al tempo della crisi, purtroppo, a volte vuol dire anche questo.
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