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Colleghi ostili: come riconoscerli e cosa fare con loro

Come comportarsi con i colleghi ostili? A volte è meglio lasciar perdere. Altre volte invece è opportuno fare autocritica

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Quante volte abbiamo già detto che il posto di lavoro è un microcosmo di relazioni e dinamiche delicate. Una sorta di laboratorio in cui ci troviamo a sperimentare quotidianamente qualcosa. A meno che non facciamo un lavoro che ci porti a stare da soli, gestire il rapporto coi colleghi può essere quanto di più faticoso si possa immaginare. E può implicare un dispendio di energie che supera quello necessario per portare a termine gli incarichi che il capo ci assegna periodicamente. Prendiamo il caso di un ufficio in cui si respira aria pesante, in cui il clima è spesso teso e i sorrisi e le pacche sulla schiena vengono dispensate come fossero merce rara. Lavorare in un ambiente del genere non è certo auspicabile. Meno che mai se dobbiamo sistematicamente dividere la stanza con colleghi ostili. Quali sono i segnali che dobbiamo captare? E cosa possiamo eventualmente fare per rendere meno pesante la nostra permanenza in ufficio?

Come riconoscere i colleghi ostili

colleghi ostili

Le antipatie possono essere manifestate coi gesti e con le parole. Senza indagare sui motivi che possono stare alla base di una qualsiasi idiosincrasia al lavoro, passiamo in rassegna i segnali più evidenti: quelli che dovrebbero suonare come veri e propri campanelli di allarme. Il nostro collega non ci sopporta se:

  • ci rivolge a stento la parola. Se abbiamo notato che la conversazione col nostro collega non riesce ad andare oltre un banalissimo: “Ciao, come stai?”. E lo stesso collega fatica ad articolare risposte che vadano oltre i monosillabici “sì” o “no”, allora è probabile che non ami troppo la nostra compagnia. A darci dei chiari segnali potrebbe essere anche il linguaggio non verbale: se evita di guardarci negli occhi, tiene spesso le braccia incrociate e tende a rivolgere i piedi nella direzione opposta alla nostra (in pratica non vede l’ora di allontanarsi), non resta molto altro da capire;
  • cambia umore al nostro arrivo. Una conversazione potrebbe stentare a decollare per colpa della timidezza o dell’introversione del nostro interlocutore. E’ vero: una remota possibilità che l’eccessivo riserbo manifestato dal nostro collega sia da riferire al suo carattere esiste. Ma cosa dobbiamo pensare se lo stesso collega si mostra sorridente e socievole con tutti e cambia poi repentinamente umore quando entriamo nella stanza? I colleghi ostili spesso evitano di dire le cose in faccia e preferiscono comunicare la loro insofferenza con comportamenti e atteggiamenti inequivocabili;
  • ci tiene all’oscuro di tutto. Mai come nel posto di lavoro, essere informati su quello che succede anche negli altri dipartimenti può fare la differenza. Se il nostro collega dimentica sistematicamente di trasmetterci informazioni importanti e tende a tenerci all’oscuro di tutto, allora è chiaro che non ha alcuna intenzione di collaborare con noi. Non si tratta della possibilità di diventare amici o confidenti: non dire quello che il capo ha stabilito nel corso di una riunione a cui non abbiamo partecipato e trascurare di aggiornarci su importanti novità può metterci seriamente nei guai;
  • non ci fa mai un complimento. Va bene l’invidia che – salvo il caso dei più “virtuosi” – finisce per fare visita, prima o poi, a tutti i lavoratori del mondo; ma se al cospetto di un conclamato successo (che ha portato beneficio all’intera azienda), tutti sono corsi a congratularsi con noi, fatta eccezione per il nostro compagno di scrivania che non ha battuto ciglio, allora non potremo non concludere che dividiamo la stanza proprio con chi non ci sopporta. Chi ignora smaccatamente il nostro lavoro e non riesce a riconoscere i nostri meriti ha indiscutibilmente un problema relazionale con noi;
  • fa le pulci al nostro lavoro. Di contro, i colleghi ostili potrebbero tradire un eccesso di interessamento per quello che facciamo in ufficio. Ma attenzione: chi fa le pulci al nostro lavoro e trova sempre qualcosa da ridire (e magari non dimentica mai di riferirlo al capo) non è sicuramente un nostro fan. L’ipercriticità è, quasi sempre, sintomo di insofferenza. Facciamocene una ragione: tra noi e il nostro collega non è scattata la scintilla.

Come comportarsi coi colleghi ostili

Fin qui i segnali che possono aiutarci a comprendere da chi dobbiamo “guardarci le spalle” in ufficio. Ma una volta presa coscienza dell’acclarata antipatia, è il caso di fare qualcosa? Dipende. Se verifichiamo che un collega ci trova insopportabile, possiamo valutare l’idea di metterci in discussione. Di fare un po’ di autocritica e analizzare, con più attenzione, i nostri comportamenti. Potremmo ravvisare qualcosa di oggettivamente indisponente e comprendere finalmente il motivo di tanta malcelata acredine nei nostri confronti. Ma c’è anche un altro aspetto da valutare.

Piacere a tutti non è possibile: meno che mai al lavoro dove le invidie possono minare anche i rapporti più stabili. Accettare l’idea che non si può riscuotere i favori di tutti i colleghi è un presupposto indispensabile per fronteggiare casi di ostilità più o meno manifeste e giustificate. Ma attenzione: se la quantità di colleghi a cui stiamo antipatici supera di gran lunga quella con cui siamo riusciti a intrecciare rapporti cordiali, allora è il caso di fermarci a riflettere. Non piacere a un collega è fisiologico, ma indisporre tre quarti dell’ufficio non può che significare che il problema è tutto nostro. E che evidentemente siamo noi a provocare le reazioni stizzite dei colleghi ostili. Cerchiamo di correggerci e, se non ci riusciamo, chiediamo aiuto a qualche specialista del settore. Le aziende più innovative, che tengono in grande considerazione il capitale umano, hanno iniziato a scommettere sul “conflict manager”. Un professionista dotato di spiccate capacità di problem-solving, che fa da pontiere tra i “duellanti” in ufficio. Che ascolta e non giudica e sottolinea la sottostimata importanza del conflitto. Non sempre l’ostilità è foriera di guai, a volte può anzi procurare vantaggi inaspettati. Che al lavoro (e nella vita) possono aiutarci a crescere tanto.

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