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Comunicazione non violenta: ecco come può aiutare al lavoro

Il metodo della comunicazione non violenta proposta dallo psicologo Rosenberg ha riscosso grande successo. Vediamo come può aiutare al lavoro

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Non c’è niente da fare: per quanto possiamo tentare di presentarci bene, se ad una semplice richiesta di aiuto da parte di un collega, rispondiamo scortesemente picche, il nostro rapporto con lui non potrà che risentirne negativamente. E non solo perché abbiamo dato prova di scarsa disponibilità, ma anche perché abbiamo scelto di esprimerci in un determinato modo, addossando su di lui quelle che – con ogni probabilità – sono frustrazioni e insicurezze tutte nostre, che non riusciamo a gestire e “smaltire” come dovremmo. Se vogliamo veramente impegnarci a costruire e mantenere rapporti collaborativi al lavoro, dobbiamo sforzarci di esprimerci nel giusto modo ricorrendo a quella che lo psicologo americano, Marshall Rosenberg, ha definito la “comunicazione non violenta“. Scopriamo insieme di cosa si tratta e qual è il lavoro che occorre fare su se stessi per ottenere il meglio dagli altri.

Occorre fare attenzione a ciò che si dice e a come lo si dice

Ci sono frasi apparentemente banali che possono creare scompiglio in ufficio. “Come sempre, hai dimenticato di spegnere la stampante” o “Non hai consegnato per tempo, sai che novità”, sono osservazioni che, per quanto pronunciate con tono scherzoso, possono ferire il destinatario perché implicano un giudizio negativo sul suo conto. Bisogna ricordarsi sempre che, anche nei contesti più informali, occorre fare attenzione a quello che si dice e al modo in cui lo si dice, evitando di emettere sentenze severe o di puntare frettolosamente l’indice contro gli altri. Specialmente al lavoro dove una critica di troppo può scatenare reazioni nervose e dare il là a un conflitto dispendioso dal punto di vista psicologico ed emotivo.

Il metodo della comunicazione non violenta di Rosenberg

Qualsiasi sia il livello di comunicazione che devi intavolare, è essenziale che tu faccia attenzione al modo in cui ti esprimi. Ad approfondire la questione è stato, tra gli altri, lo psicologo americano, Marshall Rosenberg, che a partire dagli anni ’60, ha ideato un metodo di comunicazione non violenta che ha riscosso successo su scala mondiale. Per aiutare la gente a migliorare la qualità della loro comunicazione e delle loro relazioni compromesse da conflitti più o meno profondi, l’esperto ha suggerito di fare riferimento ad uno schema incardinato su 4 elementi fondamentali:

  • l’osservazione
  • i sentimenti
  • i bisogni
  • le richieste

La teoria sviluppata dallo studioso consiglia di partire da un’osservazione oggettiva, che non implichi alcun giudizio, e di proseguire con l’identificazione e l’espressione di sentimenti autentici. Non solo: per Rosenberg, occorre assumersi la responsabilità di formulare richieste concrete e fattibili e andare alla ricerca di ciò che può farci stare bene, soddisfacendo i nostri reali bisogni. La comunicazione non violenta proposta dallo psicologo americano (definita anche comunicazione empatica o collaborativa) contempla tre passaggi nodali:

  • l’auto-empatia: intesa come profonda consapevolezza di sé e dei propri bisogni;
  • l’empatia: intesa come ascolto compassionevole degli altri;
  • l’espressione onesta: intesa come capacità di esprimersi autenticamente in modo da ispirare la compassione altrui.

Alla base di tutto deve esserci la chiarezza e l’empatia

E’ un atteggiamento destinato a migliorare i rapporti che intrattieni con le persone che incontri ogni giorno, con le quali devi metterti in connessione nel modo più onesto possibile. Non si tratta solo di scegliere le parole giuste, ma di trasmettere messaggi chiari, facendo attenzione a distinguere una richiesta da una pretesa“Cerchiamo di non pensare agli altri astrattamente – è il consiglio dello psicologo americano – ma scendiamo nel nostro cuore e colleghiamo i nostri sentimenti ai nostri bisogni perché sono i bisogni a darci il potere più grande con le persone. Il nostro potere con loro – chiarisce Rosenberg – aumenta, se cresce il loro desiderio di donarsi a noi, la loro gioia di dare”.”Siamo stati istruiti ad usare il nostro potere sugli altri attraverso i premi e le punizioni – ha spiegato l’esperto – quello che solitamente facciamo è indurli a fare cose che non vengono dal loro cuore e che non scaturiscono da una reale volontà a contribuire al nostro benessere, ma che decidono di fare per evitare una punizione o per ottenere un premio”. E’ un approccio sbagliato, che deve essere riformulato, partendo dal riconoscimento dei nostri bisogni. “La forma più efficace di comunicazione per incrementare il nostro potere con le persone – è la convinzione di Rosenberg – è portare la loro attenzione sui nostri bisogni non soddisfatti. Quando la loro attenzione è tutta rivolta ai nostri bisogni, le persone non sentono critiche né pretese e sono spontaneamente portate a dare con gioia”. 

Esempio concreto di comunicazione non violenta

Facciamo un esempio concreto: supponiamo che tu abbia fissato un appuntamento con un cliente con cui hai un buon livello di confidenza e che ti stia facendo aspettare più del dovuto. E’ più che probabile che, quando lo vedrai arrivare, lo fulminerai con lo sguardo, accogliendolo con parole del tipo: “Ti sembra questa l’ora di arrivare? Sei veramente irrispettoso!”. E’ una reazione comprensibile (che scaturisce dal fastidio che hai avvertito per averlo aspettato così a lungo), ma che prende le mosse da un approccio comunicativo violento e giudicante. Ecco come l’esperto consiglia, invece, di formulare il pensiero: “Se arrivi con 20 minuti di ritardo all’appuntamento che abbiamo concordato insieme, io non mi sento rispettato perché la puntualità è lo strumento attraverso il quale puoi dimostrarmi che dai importanza al nostro incontro. Puoi, per favore, impegnarti ad essere più puntuale la prossima volta?”. 

Si tratta, indiscutibilmente, di un’espressione più articolata (e apparentemente meno spontanea e genuina), ma che a conti fatti, sortirà risultati efficaci perché, partendo da un’osservazione oggettiva (il ritardo del tuo cliente), sei riuscito ad esprimere in maniera autentica i tuoi sentimenti e a fare chiarezza su quelli che sono i tuoi bisogni. In pratica: hai argomentato e giustificato la tua posizione, spronando – in maniera non violenta – il tuo interlocutore a prestare maggiore attenzione al modo in cui si comporterà in futuro.

Impariamo la grammatica della comunicazione non violenta – che necessita di una connessione empatica con gli altri – e i benefici non tarderanno ad arrivare. Parliamo chiaro e non addossiamo agli altri il peso dei nostri problemi irrisolti: la comunicazione non violenta al lavoro funziona solo se siamo consapevoli di quello che vogliamo e se riusciamo a trasmettere ai colleghi messaggi franchi e diretti. Senza avanzare pretese o scivolare in giudizi sommari che potrebbero indisporli.

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