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Generazioni al lavoro: ecco il confronto

Le quattro generazioni al lavoro hanno paure ed esigenze differenti, ma alcune caratteristiche restano comunque transcategoriali.

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Quali sono le esigenze più significative dei lavoratori? Di cosa ha bisogno chi passa la sua giornata in azienda? Quali servizi migliorerebbero la sua permanenza sul posto di lavoro e quali sono i maggiori problemi riscontrati? E ancora, quali sono le paure, le preoccupazioni, i problemi? Molto, dipende dall’età. E’ quanto emerge da un report di Hacking talents in collaborazione con Factanza che fa Il confronto tra le 4 generazioni nel mondo del lavoro. Non tutti i lavoratori hanno gli stessi problemi e non sempre e non solo è questione di introiti economici che comunque ovviamente hanno un peso fondamentale in un giudizio positivo o negativo riguardante il proprio mestiere o la propria azienda. Il report, dal titolo “Il mondo del lavoro, generazioni a confronto”, suddivide appunto in quattro fasce generazionali chi oggi vive all’interno di un ambiente lavorativo, specificandone le differenze rispetto alle opportunità ed ai bisogni, quindi sostanzialmente come viene vissuto il lavoro a seconda delle diverse età e degli eventi che hanno caratterizzato la nostra società negli ultimi decenni.

Il confronto tra le quattro generazioni nel mondo del lavoro ha preso in considerazione quella dei Baby boomers, nati tra il 1946 ed il 1964, la Generazione X che appartiene alla fascia 1965-1980, I Millennial, nati tra l’1981 ed il 1995 e la Generazione Z che ha visto la luce tra il 1996 ed il 2017. Anche solo classificando per fasce d’età, è possibile definire con una certa esattezza valori ed attitudini: i Baby boomers ad esempio sono caratterizzati da una sorta di abbandono totale verso il lavoro, dalla competizione e dal raggiungimento del successo. Per fare questo si basano su attitudini come la “dedizione totale”, l’ottimismo, la collaborazione e la sperimentazione. Qualcosa di simile lo troviamo anche nella Generazione X che in un certo senso eredita alcune caratteristiche, come quella del “lavorare sodo”. E’ più orientata all’imprenditorialità e all’indipendenza, ma condivide il fatto di dover (e voler) essere competitiva e possiede anche una maggiore apertura mentale rispetto ai primi.

Molto diverso è invece il caso dei Millenial, che basano la loro vita, perlomeno quella lavorativa, sulla tecnologia. Essi sono tra l’altro meno inclini al cosiddetto “posto fisso”, vero e proprio mito di vita per le prime due fasce generazionali, ed anzi aspirano maggiormente al cambiare posto per migliorare la propria situazione di carriera. Vivono molto più nell’immediatezza della vita, e ciò probabilmente genera loro in un buon numero di casi una certa sfiducia. Come succede tra Baby Boomer e Generazione X, anche tra Millenial e Generazione Z ci sono diverse similitudini. Quest’ultima sostanzialmente non conosce o quasi un mondo non interconnesso. E’ nata con internet e non sa cosa voglia divere vivere senza di essa. Ciò la porta ad essere caratterizzata da un certo individualismo, ma anche da una fortissima propensione all’innovazione. Con i Millenial condivide ad esempio la mancanza del mito del posto fisso, aggiungendo a questo una sua caratteristica peculiare, cio che nel report viene chiamato “Multitask career”, ovvero la capacità di operare contemporaneamente in diversi campi, senza fossilizzarsi necessariamente su una determinata attività. Contrariamente ai Millenial, gli “Z” hanno aspettative piuttosto alte e credono nella loro realizzazione.

A fianco ad aspettative e caratteristiche personali, fanno capolino anche le paure, piuttosto diverse per ogni fascia generazionale. Se per quanto riguarda i Baby boomers la loro maggiore preoccupazione è quella di mantenere lo stato acquisito negli anni con il loro lavoro, va detto che in loro di preoccupazione ve n’è anche un’altra, ovvero quella di sentirsi sottovalutati. Essi infatti pensano (spesso a ragione) che nonostante la loro età possano dare ancora molto al mondo del lavoro. Risultano inoltre molto più attivi rispetto alle generazioni prima di loro.  La Generazione X invece è più focalizzata su ciò che chiamiamo Work Life Balance, ovvero la ricerca di un equilibrio accettabile tra il lavoro (e quindi la retribuzione) e la vita privata. La paura di chi appartiene a questa fascia, visti tutti gli impegni quotidiani è proprio quella di non riuscire a raggiungerlo o mantenerlo. I Millenial invece risultano più insicuri, e lo sono non per caratteristiche intrinseche ma per la vita che hanno vissuto. Vittime della crisi del 2008 e poi della pandemia da Covid 19, dal punto di vista lavorativo hanno spesso stipendi bassi e lavori precari.

Di conseguenza la loro maggiore paura è quella di non riuscire a farcela economicamente e quindi di non potersi costruire un futuro come quello dei loro genitori. Per ultimo, la Generazione Z, forse un po’ paradossalmente ma nemmeno tanto, condivide con i Baby boomers la paura di essere ignorata, anche se per motivi apparentemente opposti. I primi perché troppo vecchi i secondi perché troppo giovani, anche se le loro competenze digitali risultano essere tra le più adatte al mondo odierno. Proprio la digitalizzazione è, per così dire, il terzo evento che ha caratterizzato le 4 generazioni al lavoro. I Baby boomers si sono adattati alla trasformazione digitale riuscendo comunque in gran parte ad utilizzare i nuovi strumenti, ma è stata la Generazione X la prima ad aver sfruttato a pieno, anche lavorativamente parlando, tutte le novità portate dalla digitalizzazione. Per quanto riguarda le altre due generazioni, si tratta di persone che hanno praticamente sempre vissuto in un mondo digitale. La Generazione Z addirittura non ha coscienza del mondo analogico precedente a quello in cui è nata.

Un’altra cosa interessante da dire riguarda i bisogni delle persone al lavoro. Un sondaggio di Factanza media, ha messo in luce che il confronto tra le 4 generazioni nel mondo del lavoro, è una cartina di tornasole del fatto che una gran parte delle due generazioni più recenti risenta di “bisogni inespressi” piuttosto peculiari. Si tratta di caratteristiche forse mai riscontrate prima come la carenza (e quindi per conseguenza la necessità) di relazioni empatiche sul lavoro. L’avere un buon rapporto tra colleghi e il fatto che ci sia la disponibilità ad aiutarsi vicendevolmente sembra essere avere un’importanza molto alta tra i Millenial e la Generazione Z. E’ infatti un bisogno segnalato dal 43% degli intervistati. Quando questa situazione non è presente sul posto di lavoro, ci si sente più soli e si resta vittima di stress, cosa questa riferita dal 64% degli intervistati.

Se questi discorsi possono sembrare piuttosto astratti, il report ribalta la prospettiva, collegando tali problemi ad eventi molto concreti come la recentissima Great resignation, ovvero quel fenomeno di massa che ha portato decine di migliaia di persone a lasciare il proprio posto alla ricerca di un qualcosa di nemmeno del tutto definito. Tradotto in parole povere, una massa di persone, quasi sempre piuttosto giovani (quindi Millenial o Early Generazione Z) ha abbandonato il proprio lavoro nella speranza di trovarne un altro migliore, ma non per forza con un progetto studiato a priori. In molti casi si è trattato di lasciare lavori molto stabili, con conseguente incertezza di un’entrata economica ricorrente. A contare molto sul verificarsi di questo fenomeno piuttosto inconsueto è stata certamente la ricerca di uno stipendio più alto, ma anche una certa mancanza di flessibilità lavorativa che ha portato ad una marcata insoddisfazione personale.

Dal report emerge che il confronto tra le 4 generazioni nel mondo del lavoro mette in luce il fatto che si verificano grandi cambiamenti, alcuni sicuramente epocali, ma anche che permangono diverse caratteristiche intersezionali, come ad esempio la già segnalata paura di sentirsi ignorati che fa capolino sia tra i “vecchi” Baby boomers che tra i giovanissimi della Generazione Z.  La costante ricerca di un stipendio migliore e più in generale di condizioni di lavoro più soddisfacenti è senza alcun dubbio transcategoriale, ma il report mette in luce almeno due diversi modi per raggiungere tali condizioni. Se le due generazioni più mature infatti vivono per lavorare, le due più giovani lavorano per vivere. Ciò sostanzialmente significa che i più vecchi si identificano nel lavoro ed attraverso questa identificazione, che è completamente permeante, si impegnano a raggiungere le migliori condizioni possibili, proprio perché si sentono un tutt’uno con il lavoro e vogliono trovarsi il meglio possibile durante le ore in cui sono impegnati.

Le due generazioni più recenti invece, non si identificano più nel lavoro e credono che esso debba semplicemente servire ad un maggiore benessere personale da trovare anche e forse soprattutto nella vita privata. Quindi, i problemi del lavoro non devono pesare e non devono esserci una volta tornati a casa. Almeno nell’ultimo decennio hanno infatti visto la luce diversi fenomeni molto interessanti riguardanti il tema del benessere personale, a volte sfociati addirittura in leggi vere e proprie, almeno in alcune nazioni, come ad esempio il “diritto alla disconnessione”, ovvero quella pratica per la quale non si è più costretti a rispondere al telefono o alle mail una volta usciti dall’ufficio o staccato la spina alla fine dello smart working. Un principio questo, molto difficile se non impossibile da affermare in precedenza visto che appunto le due generazioni alle quali fanno capo i Baby boomers e la Generazione X facevano molto più capo all’identificazione attraverso il lavoro, riuscendo così ad operare per molte più ore durante una sola giornata e trovando anche soddisfazione in questo, se l’orario “allungato” portava poi un maggiore compenso economico ed un migliore status sociale.

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