Cercare lavoro ed essere nell’età più “adatta” per mettere al mondo un figlio può rivelarsi un problema dalla soluzione straordinariamente difficile. Anche la persona più limpida e trasparente, se è una donna trentenne ed è alla ricerca di un impiego, rischia di scontrarsi con una mentalità, o comunque con un atteggiamento piuttosto diffidente da parte dei selezionatori, il lavoro dei quali è fare gli interessi dell’azienda scegliendo la persona giusta.
Se è vero che il rischio del “ti assumo e tu dopo un mese ti metti in maternità, aggravando i costi senza produrre nulla” non può essere matematicamente escluso, non è plausibile pensare che tutte le donne potenzialmente in grado di dare alla luce una nuova vita nel breve periodo si comportino in tal modo, né tantomeno che vogliano farlo. Un’interessante testimonianza, giunta alla Posta di Bianco Lavoro, è sicuramente quella di Francesca. Ecco cosa ci ha scritto (di seguito la nostra risposta).
E-mail pervenuta a La Posta di Bianco Lavoro
Salve, sono una ragazza di trent’anni da qualche mese in cerca di nuova occupazione e recentemente ho sostenuto colloqui per ruoli segretariali prettamente femminili e i selezionatori si son mostrati sin da subito interessati alla mia decennale esperienza e alle mie caratteristiche personali, ma, non appena è emerso che sono sposata e senza figli, hanno cambiato espressione anche dicendo espressamente che non costituisco un buon investimento aziendale poiché troppo esposta al rischio “maternità”.
Chiederei gentilmente un consiglio su come convincere e rassicurare un datore di lavoro che non faccio parte della categoria di donne che rimangono un anno a casa a discapito di colleghi e Struttura, ma, bensì della maggior parte delle donne che non deve rinnegare il proprio diritto alla maternità riuscendo a far conciliare brillantemente sia la sfera professionale che quella familiare…tesi che ho già esposto ai miei interlocutori che si son mostrati disinteressati a prendere in considerazione o che comunque non ha riscosso successo.
Francesca G.
Risponde la Redazione di Bianco Lavoro (a cura di Natalia Piemontese)
Quello della maternità è un argomento che si affronta di sovente parlando di donna e lavoro. Tralasciando ovvie polemiche, il punto di partenza dal quale partire per una riflessione è che, nonostante il bisogno di lavoro oggi sia diventato un’emergenza, la donna non debba mai considerare la scelta della maternità un bivio, una scelta diametralmente opposta al percorso professionale. Purtroppo le difficoltà sono evidenti in Italia e la maternità viene subita come un costo dall’azienda. Seppur vero che tutto verrà recuperato in fase di versamento dei contributi (e quindi se ne farà carico l’Inps), la forza economica del datore di lavoro in quel momento deve essere tale da anticipare e versare “due stipendi” per un solo posto di lavoro.
E la situazione si complica in presenza di altre ipotesi: oltre ogni ragionevole dubbio lei fa sicuramente parte delle donne che lavorano con impegno e mostrano fedeltà all’azienda. Ma alcune variabili non possono essere tenute sotto controllo, come ad esempio il caso di una gravidanza a rischio: in questa ipotesi la donna ha diritto ad assentarsi dal lavoro dal secondo mese di gravidanza. Anche la formazione è un costo per l’azienda che investe su di lei e poi sulla sua sostituta, magari in un lasso di tempo breve: per questo avrà sentito dire che “per correttezza” la dipendente non dovrebbe annunciare una gravidanza dopo pochi mesi dall’assunzione.
D’altro canto rimane innegabile, assoluto e sacrosanto il suo diritto di lavorare e decidere di avere un figlio ad un certo punto della sua vita. Il primo consiglio che mi sento di darle è di non viverlo lei per prima come un problema né un limite al suo colloquio. Un atteggiamento come quello da lei descritto da parte di un datore di lavoro non ha molto senso (e appare quasi un escamotage oltre che a un’enorme perdita di tempo): non si comprende perché chiami a colloquio donne trentenni allora, senza figlio o con uno solo “il rischio” è identico o quasi. In secondo luogo, punti non solo sulle sue qualità ma sul modo in cui queste possono trasformarsi in un vantaggio produttivo per l’azienda. E poi “riequilibri” il rapporto e tenga a mente che in un colloquio di lavoro la “scelta” è reciproca: cominci ad inviare candidature “mirate” e a fare lei stessa, come un’imprenditrice, un “calcolo preventivo del rischio”: indirizzi le ricerche nei confronti di associazioni femminili, società cooperative di donne, aziende women friendly che offrono ad esempio il servizio di nido interno per le dipendenti, la flessibilità d’orario (come il part-time), la possibilità di svolgere il lavoro da casa (telelavoro) perlomeno per alcuni giorni alla settimana.
Una politica aziendale e un’ottica del lavoro “naturalmente” orientate verso le donne, che non le riserveranno obiezioni di questo genere, dove il plus della produttività aziendale è basato proprio sulla valorizzazione del lavoro al femminile e la straordinaria capacità multitasking delle donne. Valore aggiunto che viene premiato con benefits intelligenti (cena pronta da portare a casa, sconti sui libri di scuola e sulle vacanze-studio dei figli, visite in loco con pediatri e dentisti). Sono realtà che esistono sì, anche in Italia. E magari perché no, sfruttare la sua determinazione e la sua giovane età per fondare lei stessa un’impresa tutta al femminile con amiche-socie nella stessa condizione, tenendo conto anche delle agevolazioni ad hoc esistenti.