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L’intelligenza artificiale non sostituirà gli insegnanti

L’intelligenza artificiale in alcuni casi potrà essere molto utile agli insegnanti, ma non li sostituirà mai.

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Sull’argomento intelligenza artificiale dall’uscita di Chat GPT e poi a seguire altri servizi dello stesso tipo si sta dicendo un po’ di tutto. Secondo alcune analisi le IA potrebbero far rischiare il posto a 300 milioni di persone nei prossimi anni. 300 milioni, un po’ meno di un quinto della popolazione del pianeta. Una visione entusiastica di una roba che resta in fin dei conti una macchina, sostiene che le sue capacità potrebbero addirittura superare quelle umane. Tra i tanti lavori, appunto molto umani, che potrebbero sparire, secondo la visione di cui sopra c’è quello dell’insegnante. Sostanzialmente una sorta di avatar creato ad hoc e basato su intelligenza artificiale potrebbe nei prossimi anni prendere il posto dei professori a scuola. La cosa però, va detta, è letteralmente impossibile, vediamo di capirne il perché.

La questione umana

L’intelligenza artificiale, anche quella generativa, è e resterà sempre e comunque un modello linguistico basato su un addestramento umano e su informazioni che le vengono date da esseri umani (tecnicamente basterebbe che questi ultimi smettessero di fornirgliele). Sofisticato fino a quando si vuole, ma non può pensare e non può interagire autonomamente se non basandosi su mere correlazioni statistiche. Ciò vuol dire che per una domanda che le viene fatta, essa risponde andando a ricercare una miriade di dati nel suo database, poi secondo un qualche algoritmo li mette insieme e fornisce una risposta. Va bene, ma come potrebbe mai insegnare? Una teoria simile dà praticamente per scontato che l’avatar parli e lo studente capisca, comprenda esattamente quel che gli viene detto e possa metterlo in pratica. O che, al massimo, il suddetto avatar debba per così dire impegnarsi a rispiegare la stessa cosa in un alto modo. Cosa che sì, fanno anche gli insegnanti, ma tra i due non può esserci alcun paragone possibile, neanche da lontano.

Un avatar può solamente limitarsi a trovare parole nuove per spiegare gli stessi concetti, visto che è sostanzialmente un modello linguistico, cioè “qualcosa che sa parlare e scrivere”, un insegnante entra nella testa dello studente per capire qual è il ragionamento che non riesce a fare e a causa del quale non capisce quel che dovrebbe. Una volta fatta questa operazione è in grado di dire le parole giuste al momento giusto alla persona giusta, perché sì, tali parole cambiano a seconda del momento e della persona. In base al suo modo di pensare, al suo carattere, alle sue capacità innate, quelle apprese e quelle non ancora imparate. Un professore sfonda o scavalca le barriere mentali dei suoi studenti, talvolta in modo anche un po’ concettualmente pesante, altre volte con una delicatezza non comune. Pensare che una macchina possa fare una cosa del genere è letteralmente assurdo.

Per fare quel che fa, l’insegnante impara a conoscere i suoi studenti, ne capisce pregi e difetti, tiene a mente bravure e difficoltà ed è proprio in quegli spazi che va ad agire, aumentando le bravure e riducendo le difficoltà. Ci vuole un’empatia prettamente umana per riuscire in questo ed è chiaro come un computer non potrà nemmeno lontanamente immaginare di arrivare mai a tanto. E’ una della miriade di ragioni per le quali è un lavoro che se fatto bene è estremamente faticoso. C’è un “consumo umano quotidiano” da considerare, attraverso il quale gli insegnanti lasciano impronte indelebili nella mente e nel cuore dei giovani a cui insegnano. Ovviamente bisogna volersi “consumare”, ma dato che molti lo fanno per pura vocazione è anche difficile pensare che ciò non accada.

Facciamo un esempio veloce. L’insegnante d’italiano chiede di imparare a memoria un piccolo pezzo della Divina Commedia di Dante Alighieri, una parte diciamo non molto estesa ma significativa. Quella parte è già stata spiegata a scuola, più volte, in modi diversi, a persone diverse, con metodi differenti. Ed anche le porzioni di quella parte spiegata sono differenti. Ovvero se il pezzo da imparare a memoria consta ad esempio di 10 versi, un alunno non avrà capito un verso, un altro alunno un altro, e così via. L’imparare a memoria tutto il pezzo ha un’utilità solo se lo si è capito. Ma come potrebbe un’intelligenza artificiale spiegare 10 versi differenti ad altrettanti studenti magari variando anche il modo, l’approccio, le parole, i tempi? Si tratta di un’operazione che ha endemicamente bisogno dell’intuizione, dell’esperienza e della conoscenza umana. Tutte e tre letteralmente insostituibili da una qualsiasi anche sofisticatissima macchina.

Così è ad esempio per la spiegazione di una formula matematica. Il professore deve essere in grado di capire esattamente cosa non funziona nei passaggi che fa il cervello dello studente che tenta di capire ma in quel momento non ci riesce, ed intervenire proprio lì, in quel piccolo pezzetto di formula. E deve poi saperlo spiegare così bene da “illuminare” il ragionamento dello studente, che poi sarà in grado di collegare i vari passaggi e comprendere appieno l’intera formula. Inoltre l’insegnante deve anche saper dare un senso a ciò che spiega. Non basta raccontarlo infatti: per molti ragazzi il senso è fondamentale, senza di quello non capiscono o non viene loro voglia di capire. Torniamo all’esempio appena fatto: a cosa serve tal formula matematica? L’insegnante spiegherà l’utilità di quella formula applicandola a qualcosa di reale, qualcosa che avviene nel mondo e che tutti possono capire. L’esempio da trovare è quello giusto, non uno a caso. E per quello giusto s’intende ovviamente giusto per lo studente al quale lo si sta spiegando. Un alunno potrebbe capire con un esempio, ed un altro con un esempio diverso.

La questione tecnica

C’è poi tutto un discorso tecnico da fare: un’intelligenza artificiale per essere abbastanza informata deve apprendere da chiunque. Sono infatti strutture “open”, cioè aperte, a tutti. Ciò significa che chi chatta con le IA dà loro delle informazioni, che queste apprendono, inseriscono nei loro database e riutilizzano quando lo ritengono necessario a seconda delle correlazioni statistiche attraverso le quali funzionano. Ma il fatto che imparino da tutti non è per forza una bella cosa. Non si può dare per scontato che chiunque fornisca delle informazioni corrette. Chi chatta potrebbe infatti averle sbagliate, o anche darle apposta errate. Come potrebbe quindi un’IA fare le veci di un’insegnante che ha studiato per quasi vent’anni selezionando accuratamente fonti ed informazioni? E’ vero, si potrebbe preparare una lezione con un avatar, ma a prepararla dovrebbe comunque essere un insegnante, per poi distribuirla ad una miriade di studenti.

Ciò però nella realtà già accade. Pensiamo ai corsi online. Un professore registra la sua lezione che poi le scuole di formazione caricano sulle loro piattaforme streaming, e gli studenti la guardano ed imparano in questo modo. Ma allora qual è la differenza? La differenza ovviamente sta nel fatto che la lezione di un professore è univoca, ovvero c’è uno che parla e gli altri che ascoltano. Nel caso dell’avatar questo risponderebbe anche alle domande degli utenti, quindi la lezione diventerebbe interattiva. Una cosa che con una persona umana potrebbe accadere solo se in live. Però il problema è che la IA non potrebbe comunque dare risposte mirate sul tal studente in modo da essere sicura che esso capisca esattamente quel che deve. In più anche se desse una risposta così mirata da far comprendere il concetto oscuro all’utente in questione, non potrebbe verificare il risultato. Nel caso del professore umano, esso con una domanda è in grado di accertare se lo studente abbia o meno capito il concetto.

Nel caso dell’IA essa dovrebbe basarsi necessariamente sulla percezione che lo studente ha di aver capito. Nel prima situazione è l’insegnante a stabilire che lo studente ha compreso e ha quindi fatto un progresso. Nel secondo caso è sostanzialmente lo studente che se lo dice da solo e lo comunica alla IA. Quindi il progresso potrebbe effettivamente esserci stato, ma anche no. Se lo studente non ha capito ma percepisce di sì, dirà che ha capito, non avendo però capito. Resterà insomma fermo sulle sue convinzioni credendo di essere andato avanti. Si obietterà che si possono sempre prevedere dei test (come in effetti già accade con le lezioni standard) anche con eventuali avatar IA, in modo da capire se lo studente abbia compreso la lezione. E’ vero, ma potrebbero fornire sempre e comunque risposte generali sull’intero costrutto e non su passaggi particolari ma fondamentali dello stesso. Salvo prevedere un test per ogni singolo concetto o addirittura ogni singola frase della lezione. Per certe cose l’interazione umana è insostituibile e bisogna semplicemente prendere atto che è così.

Ma allora l’intelligenza artificiale è sostanzialmente una bufala? Ecco, no. Non è vero nemmeno questo. Però essendo una macchina deve restare al servizio degli esseri umani, visto che tra l’altro non li può sostituire. E’ di fatto uno strumento che se utilizzato come tale può essere molto utile. Ad esempio un insegnante al posto di perdere ore a costruire un testo sul quale poi valutare gli studenti potrebbe servirsi della IA, addestrandola a farlo. Ciò comporterebbe un risparmio di tempo non indifferente, il quale potrebbe essere impiegato per fare valutazioni molto più approfondite sugli stessi studenti, oltre che su che cosa fanno. Ed anche, ovviamente, a costruire strumenti di aiuto agli stessi molto più precisi, basati sulla persona. Questo può essere un esempio, valido in alcuni campi e non in altri. Ma gli esempi possono essere molti e tutti diversi. Di fatto non che le intelligenze artificiali non servano, anzi, potranno essere di grande aiuto per alcune operazioni, velocizzandole e semplificandole. Ma certamente non si può arrivare a pensare che possano sostituire in toto una categoria come gli insegnanti, il cui lavoro è così intriso di caratteristiche umane da rendere la loro scomparsa assolutamente impossibile.

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