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Non è vero che bisogna inserire lo stipendio negli annunci di lavoro

L’Ue ha approvato una Direttiva che abolisce il segreto retributivo. Lo stipendio va comunicato nell’annuncio o al primo colloquio.

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L’Ue ha approvato la Direttiva sulla trasparenza salariale, che cambia significativamente alcuni parametri e va ad aiutare soprattutto il lavoro femminile, abolendo il cosiddetto “segreto retributivo”. Gli stati membri hanno tre anni per recepire la Direttiva e prevedere significative sanzioni per i datori di lavoro che non rispetteranno i suoi contenuti. Contrariamente ad alcune notizie circolate però, non è vero che sarà obbligatorio dichiarare lo stipendio negli annunci di lavoro. La Direttiva infatti prevede qualcosa di un po’ più complesso. Bisognerà quindi stare attenti a non cadere nel tranello di pretendere per forza l’inserimento della cifra dello stipendio direttamente negli annunci di lavoro.

Cosa prevede la nuova Direttiva

Come detto, il provvedimento va nella direzione di aiutare il lavoro femminile combattendo l’odioso gender pay gap, quella pratica per la quale a parità di mansione le donne si ritrovano spesso con uno stipendio inferiore rispetto ai maschi. L’abolizione del segreto retributivo è infatti una grossa mano in questo senso, ma la Direttiva non dice che lo stipendio debba essere inserito per forza nell’annuncio di lavoro, bensì che debba essere inserito nello stesso oppure che venga comunicato al primo colloquio (i colloqui spesso sono molteplici), come spiega anche il post Linkedin del nostro direttore Marco Fattizzo. Cosa vuol dire questo? Significa che l’annuncio di lavoro pubblicato online o su un quotidiano può tranquillamente non riportare quanto sarà lo stipendio, ma il datore di lavoro, o comunque chi fa il colloquio, sarà costretto a comunicare il dato al/la candidata/o durante il primo incontro, una volta che questo dovesse avvenire. La differenza è sostanziale perché un’azienda può tranquillamente non comunicare pubblicamente lo stipendio per la mansione richiesta, anche se dovrà farlo privatamente al primo colloquio.

La Direttiva Ue prevede anche altri paletti molto interessanti. Uno di questi è quello per il quale qualunque azienda con più di 100 dipendenti dovrà modificare, correggendole, eventuali disparità salariali (ovviamente a parità di ruolo) che superino il 5% e che non siano concretamente motivate. I dipendenti potranno poi servirsi di una banca dati, aggregati per genere, per capire quali siano i criteri di eventuali aumenti. Oltre a questo, chi fa il colloquio non potrà più chiedere informazioni sullo stipendio precedente, questo per evitare che lo storico salariale influisca sullo stipendio che l’azienda che assume erogherà. Risarcimenti sono previsti anche per i lavoratori in caso di mancata attuazione della Direttiva Ue, che entrerà a regime da qui a tre anni.

Il significato delle misure

Come accennato, l’abolizione del segreto retributivo va sicuramente nella direzione di rendere più trasparenti gli stipendi in modo da aiutare le donne, solitamente più svantaggiate rispetto agli uomini, ad ottenere una retribuzione paritaria rispetto a questi ultimi. Ovviamente un’azienda, visto che non è comunque costretta a darne comunicazione nell’annuncio di lavoro, potrebbe comunque riferire uno stipendio diverso a candidati differenti. Il rischio insomma non è del tutto escluso, ma è chiaro che questa misura agisce e vuole agire sul piano culturale, cercando di fare in modo che i datori di lavoro si adeguino perché vogliono farlo e non perché costretti dalle contingenze. Ci vorrà forse un po’ di tempo, ma l’iniziativa sembra assolutamente utile e lungimirante.

Per quanto riguarda il non poter richiedere informazioni sugli stipendi precedenti, anche questa sembra essere una misura che va nella direzione del cambiamento culturale. Il vietare di chiedere qualcosa non impone certo che nessuno lo chieda più, ma il far riflettere sul fatto di non doverlo più fare, negli anni, almeno nelle intenzioni dell’UE, dovrebbe portare all’eliminazione volontaria di questa domanda durante un colloquio di lavoro.

Interessante anche l’obbligo di correzione delle disparità salariali che superano il 5% nelle aziende più grandi. Qui c’è una costrizione effettiva, ovvero le imprese saranno fattualmente costrette a rimediare all’errore qualora questo dovesse presentarsi. Ma è indubbio che anche in questo caso sussista nella Direttiva una componente culturale non indifferente, che dovrebbe negli anni generare una situazione per la quale una tale disparità non possa più verificarsi senza un motivo reale.

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