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Pensione più alta per errore del datore: non sempre è colpa dell’Inps

Ecco cosa è accaduto a un pensionato che ha ricevuto una pensione più alta dall’Inps a causa di un errore del suo ex datore di lavoro.

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La recente sentenza 17417/2016 della Corte di Cassazione ha apportato un’interessante novità giurisprudenziale circa le responsabilità in caso di pensione maggiorata di un ex dipendente, per errore del datore di lavoro nella trasmissione dei conteggi all’Inps, sulla correlata responsabilità dell’Inps e, ulteriormente, sulla possibilità di poter richiedere indietro quanto è stato erroneamente versato.

La vicenda

Per comprendere come si sia giunti alla pronuncia dei giudici della Suprema Corte, riprendiamo la vicenda da uno stato intermedio. Resasi conto che le somme erogate al pensionato erano maggiori di quelle cui avrebbe potuto beneficiare, l’Inps ha cercato di ottenere la restituzione delle somme attraverso una causa giudiziaria.

busta pagaIn secondo grado, nel 2009, la Corte di Appello di Torino ha però rigettato l’appello dell’Inps, ritenendo che le somme corrisposte in base al formale e definitivo provvedimento comunicato all’interessato, e viziato da un errore imputabile all’ente erogatore, non dovessero essere restituite, salvo il caso di dolo dell’interessato. L’Inps aveva dedotto che l’errore era dovuto all’inesatta dichiarazione dei dati da parte del datore di lavoro, e che dunque l’errore stesso non fosse imputabile all’Istituto: una difesa che tuttavia non è stata utile per poter far cambiare idea ai giudici di secondo grado.

L’Inps arriva così a ricorrere in Cassazione, sostenendo che l’irripetibilità dell’indebito pensionistico sarebbe condizionata dalla circostanza che si versi in errore, imputabile all’Inps. Dunque, secondo l’istituto, l’imputabilità dell’errore all’ente erogatore sussisterebbe solo se lo stesso deriva dalla valutazione non corretta dei dati di cui l’ente dispone, precisando che l’errore – nella fattispecie in esame – non era rilevabile sulla base dei dati disponibili. L’Inps contestava infine, nel suo unico motivo di ricorso, la sussistenza di un onere di verifica dei dati trasmessi a carico dell’ente previdenziale, non rinvenibile nelle fonti normative.

Cosa ha deciso la Cassazione

Su tale vicenda, la Cassazione si è espressa affermando di non ritenere sussistente in capo all’Inps l’onere di vigilanza e di controllo dei dati trasmessi dal datore di lavoro, poichè l’onere non trova corrispondenza nella disciplina legislativa. D’altronde, se un simile onere fosse posto effettivamente a carico dell’Inps, ciò comporterebbe la necessità di un allungamento dei tempi della procedura a causa di un necessario contraddittorio tra l’Inps e il datore di lavoro.

Pertanto, nell’ipotesi in cui l’Inps versi ad un pensionato somme più alte di quelle dovutegli a causa della trasmissione da parte del datore di lavoro di dati non corretti, le somme indebitamente percepite dall’ex lavoratore dovranno essere restituite con gli interessi da quest’ultimo, per mancanza di una delle condizioni della pretesa irripetibilità, ovvero la imputabilità dell’errore all’ente erogatore.

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