Abbiamo già parlato degli effetti del lavoro precario sia sulla psiche dei lavoratori che sulla loro efficienza e produttività . Oggi invece ci concentreremo sull’altro lato della barricata, quello dei datori di lavoro. Certo non tutti, ma alcuni tra questi ultimi sono spesso inclini ad assumere personale su basi contrattuali non stabili, ovvero lavoratori precari perché? C’è un discorso economico, sicuramente, ma anche gli svantaggi legati, ad esempio, al turnover. Qui cerchiamo di dare alcune risposte a questa domanda.
Precari e flessibilità
Spesso, soprattutto in questi anni di crisi e fatturati incerti, il datore di lavoro non sa quando e per quanto tempo avrà bisogno di un lavoratore. Per questo predilige le forme contrattuali, come ad esempio il contratto a chiamata, che gli lasciano le mani libere in caso quel lavoratore non serva più. Posta in questi termini è un po’ “cattiva”, ma non dobbiamo dimenticare che spesso i datori di lavoro, soprattutto nelle attività di piccole dimensioni, non hanno le risorse per pagare dipendenti di cui non hanno bisogno.
Risparmio
L’aspetto economico nel lavoro precario è fondamentale. Infatti, se è vero che spesso le paghe non differiscono di molto tra lavoratori precari ed colleghi a tempo indeterminato, il datore di lavoro nel primo caso va incontro ad una serie cospicua di benefici dal punto di vista economico. Basti pensare all’aspetto dei contributi e a quello dell’assicurazione riguardante gli infortuni sul lavoro. Insomma, la flessibilità paga (il datore di lavoro).
Possibilità di scelta
Per un datore di lavoro uno dei massimi timori è quello di assumere un dipendente che sfrutta le proprie tutele per “prendersela comoda” sul posto di lavoro. Non entreremo ora in argomenti complicati come il famoso articolo 18, ma sicuramente un contratto a tempo indeterminato dà al lavoratore una certa discrezionalità sul come e il quanto lavorare. Il lavoro precario permette al datore di lavoro di “visionare” più candidati, testandoli per un certo periodo in una data mansione. Una sorta di periodo di prova prolungato a piacere dal datore di lavoro, insomma. In questo senso il lavoro precario è una ridondanza di una tutela che il datore ha già, ovvero quello del patto di prova (il periodo di massimo tre mesi in cui un contratto di lavoro può essere disdetto). In questo senso l’utilizzo del lavoro precario come “periodo di prova indefinitamente prolungato” è molto discutibile.
Qualifiche e competenze
Un ultimo aspetto da tenere in considerazione rispetto al lavoro precario è la mansione che riguarda. Infatti, maggiori saranno le qualifiche e competenze richieste per svolgere un dato compito, maggiore sarà il desiderio del datore di lavoro di trattenere in maniera stabile quel lavoratore. Al contrario, mansioni poco qualificate incentivano quel turnover strumentale alle esigenze del datore di lavoro che il lavoro precario spesso comporta.
Agostino Bertolin
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